Trentasei anni senza verità, trentasei anni da quella sera del 7 ottobre del 1986, in cui un Claudio Domino, un bambino di 11 anni che giocava davanti la cartoleria dei suoi genitori nel quartiere San Lorenzo è stato avvicinato da un uomo in sella a una motocicletta, con il volto coperto dal casco che lo chiamò per nome. Claudio gli si avvicinò e, per tutta risposta, l’uomo puntò su di lui una pistola ed esplose un solo colpo, fatale.
Un delitto che lasciò la città sgomenta, incapace di dare una spiegazione a tanto orrore. Da allora Ninni Domino e Graziella Accetta, genitori del piccolo Claudio, cercano la verità sull’omicidio del piccolo.
Un omicidio avvenuto durante il Maxiprocesso alla mafia: particolare non da poco, dal momento che i genitori di Claudio, con la loro ditta, avevano vinto l’appalto delle pulizie nell’aula bunker dell’Ucciardone, che di quell’evento storico costituiva il teatro.
Storica ormai la dichiarazione dell’imputato al Maxiprocesso Giovanni Bontate (fratello di Stefano Bontate, che fu capo di Cosa Nostra prima di essere ucciso dai corleonesi), che il giorno dopo l’omicidio disse: “Noi condanniamo questo barbaro delitto che provoca accuse infondate anche verso gli imputati di questo processo. Siamo uomini, abbiamo figli, comprendiamo il dolore della famiglia Domino. Rifiutiamo l’ipotesi che un atto di simile barbarie ci possa sfiorare”.
In questi 36 anni sono state tante le “verità” venute fuori su mandanti ed esecutori dell’omicidio di Claudio ma ad oggi nessuno è stato condannato per la sua morte.
I collaboratori di giustizia Salvatore Cancemi e Giovan Battista Ferrante puntarono il dito contro su Salvatore Graffagnino, proprietario di un bar poco distante dal luogo dell’omicidio e gestore di un prospero traffico di eroina. Secondo le loro dichiarazioni Claudio sarebbe stato ucciso da un tossicodipendente inviato da Graffagnino in quanto testimone di uno scambio di stupefacenti tra pusher.
Altri pentiti, invece, evidenziarono il presunto ruolo avuto nella vicenda da Giovanni Aiello, conosciuto come “Faccia da mostro”, deceduto nel 2017: poliziotto fino al 1977, funzionario dell’intelligence negli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta, ritenuto una delle figure di raccordo tra Cosa Nostra e le frange deviate dei servizi.
Nel maggio del 2021, il Procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e l’aggiunto Salvatore De Luca, hanno deciso di acquisire nuovi atti per riaprire l’inchiesta, sperando di fare luce su un delitto il cui ricordo scuote ancora l’animo e le coscienze.
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