Sanità privata in piazza, in migliaia davanti l’assessorato: il video
Lo sciopero della sanità accreditata privata siciliana, iniziato martedì 21 oggi con il corteo che si è tenuto all’assessorato regionale alla Salute della Regione Siciliana in piazza Ottavio Ziino.
Lo sciopero e il corteo sono la conseguenza finale della serrata delle strutture convenzionate in Sicilia con il Servizio sanitario regionale siciliano, che hanno chiuso le saracinesche per protestare contro la decisione dell’assessore regionale alla Salute Giovanna Volo di ridurre i fondi della spesa sanitaria regionale 2022 di circa 30 milioni di euro.
In tantissimi hanno risposto all’invito a partecipare alla manifestazione che è partita dalla stazione Notarbartolo e che ha creato non pochi disagi alla circolazione stradale. I manifestanti hanno sfilato fino all’ingresso dell’assessorato con megafoni, fischietti e striscioni con su scritto: “Hanno distrutto la sanità che funziona”, “Più pazienti necessitano di cure e più tagliano i fondi”. E ancora: “La sanità privata si deve solo sostenere non demolire”. “Arginare gli sprechi nelle Asp”, “Qualità per le cure”, si legge ancora.
In piazza presenti i rappresentanti di cardiologi, odontoiatri, fisiatri, altre branche specialistiche e i laboratori di analisi cliniche.
L’assessore Volo invece di pensare alla cura degli ospedalizzati pensa a distogliere personale dagli ospedali per fare le nostre prestazioni. “Non ha capito niente, si dimetta” dichiara Gibiino segretario nazionale regionale di Sindacato Branca a Vista (SBV). “Vergogna”. “Vai a casa”. “Volo prendi il volo”.
Durante la manifestazione i titolari dei laboratori privati convenzionati hanno posato le chiavi a terra davanti alla sede dell’ assessorato regionale della Sanità. “Un gesto simbolico”, spiegano i manifestanti, rivolto all’assessore Giovanna Volo, che “deve dimettersi”. “Scenda dalla sua camera dorata – è l’invito di Gibiino alla Volo – Venga nei nostri studi quando siamo costretti a dire ai nostri pazienti di eseguire la prestazione tra sei mesi e ci dicono piangendo che non possono permettermelo”.