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Quei “rivoluzionari” che contestano qualunque cambiamento

Oggi è il giorno delle barricate: sui mezzi di informazione contro la nuova legge elettorale, per le strade contro la riforma della scuola.
Per sgombrare il campo da posizioni ideologiche e pregiudizi, partiamo dai dati: l’Italia è all’ottavo posto fra le economie del mondo per PIL ma è al 69°posto per indice di corruzione, al 166° posto per efficienza del sistema giudiziario e, nell’unica classifica esistente che paragona i sistemi scolastici solo dei 40 Paesi presi in considerazione, figura al 25° posto, quindi tra quelli meno evoluti.
Ne risulta che, rispetto al potenziale economico, politica, giustizia e scuola sono da Terzo e, talvolta, da Quarto Mondo. Proseguendo nella disamina oggettiva che prescinde dagli orientamenti politici, possiamo osservare che dal 1948 agli anni Settanta il sistema politico, nato dalla Costituzione Repubblicana, ci ha condotto dalle macerie della guerra ai primi posti fra le nazioni più industrializzate, con il sudore della fronte di nonni e padri e con il supporto dei dollari del piano Marshall.
Dagli anni Ottanta in poi abbiamo innestato la retromarcia: il debito pubblico è cresciuto in maniera esponenziale, fino a strozzare la nostra economia rendendola dipendente dallo spread e dalla finanza internazionale, e il sistema politico si è spezzettato in una serie di partitini il cui unico obbiettivo è quello di garantire prebende e privilegi a chi ne fa parte.
L’esigenza di cambiare, di mutare rotta è universalmente riconosciuta (a parole), ma quando si tratta di passare ai fatti sulle barricate della conservazione ci vanno i sedicenti rivoluzionari: ieri è stato approvato l’Italicum, una legge elettorale discutibile con tante criticità e con un solo grande vantaggio: chi prende più voti ha la possibilità di governare per cinque anni senza veti o condizionamenti da parte di chi con poche migliaia di voti determinava le sorti dei governi (da Bertinotti a Fini per non fare disparità).
Ma soprattutto avrà la piena responsabilità dei suoi atti e non potrà ricorrere ad alibi per giustificare i fallimenti, quando dovrà tornare al giudizio degli elettori.
La medesima cosa sta accadendo nel mondo della scuola dove il discorso è un po’ più complicato: per motivi di spazio non entriamo nel merito, ma osserviamo che ogni volta che qualcuno ha cercato di cambiare qualcosa, da destra o da sinistra, la reazione è stata invariabilmente una sola: tutti sulle barricate. La scelta di dare maggior potere ai presidi è discutibile perché sappiamo molto bene che spesso si accede all’incarico non per meriti e capacità, ma per conoscenze o appartenenza. Però risponde a quello stesso principio di responsabilità la cui mancanza ha causato il degrado di tutte le nostre istituzioni, dove tutto va a scatafascio, ma nessuno è colpevole. Ci saranno certamente abusi, ci saranno certamente favoritismi (come del resto ce ne sono ora), ma per lo meno avremo un responsabile da premiare o da rimuovere.
Nutriamo molti dubbi che Renzi e la classe politica che lo circonda, abbiano le capacità per portare l’Italia fuori dalle secche, ma da qualche parte si deve pur cominciare.

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