Cronaca

Psr, sei Regioni contro la revisione dei parametri di ripartizione

Scelte illogiche e perciò contestate aspramente. Sei Regioni italiane fanno muro a difesa dei fondi per lo sviluppo rurale, esprimendo ferma contrarietà rispetto all’ipotesi di una revisione dei criteri di ripartizione dei fondi europei per le politiche di sviluppo rurale, disancorati dal parametro della storicità della spesa, come proposto dalle altre Regioni con l’avallo del Ministero delle Politiche agricole e forestali. Una posizione, quella del no allo stravolgimento dei parametri attualmente in vigore, formalizzata in sede di Conferenza Stato-Regioni, al tavolo della Commissione Politiche agricole, dagli assessori all’Agricoltura di Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Umbria, che da sole rappresentano il 60% delle aree italiane interessate dal Psr.

Nello specifico, attraverso una nota depositata agli atti dei lavori della CPA, il sestetto ha bollato come incomprensibile la proposta di ripartizione dei fondi formulata dal Capo di Gabinetto del Ministro. «Essa – si obietta – parte da un presupposto definito incontestabile, cioè che vi siano dei parametri per la ripartizione dei fondi Feasr che sia possibile definire oggettivi, quasi fossero elementi di verità scientifica in grado di rendere giustizia a tutte le Regioni. L’ipotesi logica da cui muove questa osservazione è che si tratti di un criterio in grado di allocare le risorse in maniera equa, essendo già stato utilizzato in altre occasioni, e cioè per l’applicazione delle risorse assegnate per il de minimis».

Tuttavia, si evidenzia, «l’aiuto de minimis è utilizzato in agricoltura, di norma, per soddisfare esigenze emergenziali, dovute spesso a calamità naturali o a epizoozie e quindi volte al risarcimento del danno. Le risorse del Feasr, al contrario, sono esclusivamente destinate a colmare il divario tra le aree più ricche ed evolute e quelle più povere e marginali, come del resto sostiene lo stesso Commissario europeo all’agricoltura Janusz Wojciechowski».

Da qui la necessità di ricercare criteri «non solo oggettivi, ma soprattutto idonei a rispondere agli obiettivi generali dello sviluppo rurale», nel rispetto della logica del criterio storico seguita dalla UE per ripartire il Fondo nel periodo 2021-2027. Impegno tuttavia vanificato dalle decisioni del Ministero, «che non lasciano emergere alcun elemento di analisi globale della totalità dei fondi Pac – I e II pilastro – destinati ai territori, non tenendo conto che il Regolamento UE 2020/2220 ha prorogato per il 2021 ed il 2022 non solo i programmi di sviluppo rurale, ma anche l’attuale regime dei pagamenti del I pilatro della Pac».

Critiche di merito alle quali si aggiunge la censura di ordine formale: «Sarebbe opportuno capire fin da ora come il Ministero dell’Economia, in caso di adozione di differente criterio di riparto, intenda cofinanziare il Feasr per la quota nazionale, dal momento che esso deve necessariamente approvare, prima di qualsiasi accordo che approdi in Conferenza Stato-Regioni, una differente copertura finanziaria da parte dello Stato che si determinerebbe a causa dello spostamento di risorse tra Psr delle Regioni ex convergenza verso Psr delle Regioni ex competitività». Rilievi ignorati e superati con un voto a maggioranza, che oltre ad incrinare l’unità tra Regioni, ha visto respingere anche la proposta di mediazione avanzata da Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Umbria, poggiata sulla conferma «per il 2021 del criterio cosiddetto storico e sull’utilizzo per il 2022 dei nuovi criteri proposti dalle altre Regioni, con un peso 90% quanto al criterio storico e del 10% per i nuovi criteri, fatto salvo l’utilizzo a partire dal 2023 di nuovi e più idonei criteri per l’attribuzione delle risorse 2023-2027 dell’intera Pac, in riferimento sia al I sia al II pilastro».

In coda ai lavori, a verbale è finita anche la protesta dei 6 assessori regionali: «Siamo pronti a ragionare su nuovi meccanismi a partire dal 2023, ma non accettiamo colpi di mano tesi a cancellare la fase transitoria del biennio 2021-2022, che si tradurrebbe in una forte penalizzazione per regioni svantaggiate che, paradossalmente, sarebbero private proprio dei fondi destinati a garantire il riequilibrio strutturale, a vantaggio di zone già di per sé meglio attrezzate». Nel mirino, metodo e sostanze delle decisioni ministeriali: «Da un ministro presentatosi come pronto all’ascolto ed al dialogo ci saremmo aspettati ben altri atteggiamenti che far passare a colpi di maggioranza, e senza il preventivo coinvolgimento dello stesso Dipartimento Agricoltura, un’iniziativa che fa a pugni con la logica, la ragionevolezza e la politica».

Inevitabile la protesta, istituzionale e politica: nelle prossime ore una richiesta di incontro urgente sarà inviata al Ministro all’Agricoltura, Stefano Patuanelli, mentre un’informativa sarà notificata alla Commissione Europea. Contestualmente, sarà convocata una conferenza stampa congiunta per far conoscere all’opinione pubblica le ragioni di una presa di posizione ispirata unicamente dall’esigenza, si precisa, «di garantire il raggiungimento di un accordo realmente unanime ed equo, scevro da penalizzazioni per territori che non sopporterebbero il peso di nuove discriminazioni».

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Redazione

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