Michele si suicida a 30 anni, ma noi abbiamo già dimenticato
In questi giorni di frenesia per Sanremo, ho letto con attenzione la lettera di Michele, il trentenne che si è suicidato lo scorso 31 gennaio a Udine e vorrei rispondere.
Vorrei rispondere, umilmente e senza presunzione, a quella che più di una lettera mi è sembrata una domanda. Il mondo non è giusto, Michele, e tu lo hai capito sulla tua pelle, con tutti i “no” ricevuti e l’insensibilità di un meccanismo dove chi è schiacciato rimane indietro mentre chi ha fortuna va avanti. Il mondo così come l’abbiamo concepito non ha tempo per gli ultimi, sono d’ostacolo e qualche volta pure fonte di sberleffo (tu citi Poletti, ma è solo il primo di una lunga serie).
Il mondo com’è adesso è sbagliato e tu non ti sei sentito adatto, non scusarti. La colpa è nostra, qui andiamo al contrario. Qui se la scuola non funziona si accusano gli studenti, gli insegnanti e non i Ministri. Qui se “non c’è lavoro” la colpa è inspiegabilmente di chi manifesta per averne uno. Qui la politica è un mestiere e i sogni e le sane ambizioni sono solo una perdita di tempo. Qui si sta male, ma male davvero, al punto che, talvolta, qualcuno si uccide come hai fatto tu. Ma dopo pochi giorni la notizia è già passata, è iniziato Sanremo. Ci si indigna per ogni cosa, ma la nostra memoria rimane debole. E allora dimentichiamo. E gli ingranaggi vanno avanti, appena rallentati da quella “purcetta anarchica” di cui scriveva Trilussa, schiacciata dal peso di un mondo che non ha tempo per te e per quelli, come te, che sogni ne hanno da vendere e che non possono -anzi, non vogliono!- accontentarsi di un no.
È per questo, Michele, che io voglio ringraziarti e per quanto possa sembrare debole come consolazione, ti prometto che tanti giovani porteranno avanti i tuoi sogni come fossero i propri, affinché tu non sia morto invano.