Mafia, colpo al clan di Messina Denaro: il ruolo del capofamiglia

I carabinieri del Ros e del comando provinciale di Trapani dopo il blitz anti mafia che ha portato in carcere 14 presunti affiliati al clan del boss Matteo Messina Denaro tra Marsala e Mazara indagati per associazione di tipo mafioso, estorsione, ricettazione, detenzione illegale di armi e munizionamento, con l’aggravante del metodo e delle finalità mafiose, delineano il ruolo di uno degli arrestati, Vito Vincenzo Rallo, come “vertice della consorteria marsalese e referente d’area”.

Rallo, secondo i militari dell’Arma, a decorrere dalla metà di aprile 2015 emergeva per i rapporti intrattenuti con esponenti di altre articolazioni territoriali di cosa nostra, ascrivibili a momenti di dialettica associativa interprovinciale.

Grazie alle investigazioni si documentava che nel 2015 Ignazio Bruno (reggente della famiglia e del mandamento di San Giuseppe Jato) e Vincenzo Simonetti (consigliere della famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato) si recavano a Marsala per effettuare diversi riservati incontri con Rallo.

In occasione dell’appuntamento del 05.07.2015, allorquando Bruno e Simonetti tornavano ad incontrare Rallo in un terreno sito in agro di Marsala dove il R.O.S. aveva predisposto servizi tecnici, emergeva che gli argomenti affrontati, in particolare da Rallo e Bruno, riguardavano dinamiche associative, che coinvolgevano più mandamenti della provincia di Trapani qualificando, quindi, ulteriormente il ruolo del capofamiglia di Marsala in quell’ambito provinciale.

I profili economico delle attività d’indagine

La scelta dell’obiettivo investigativo, sin dalle prime fasi dell’attività, permetteva di documentare sia l’appartenenza all’associazione mafiosa che il peculiare dinamismo economico dell’imprenditore edile mazarese Fabrizio Vinci.

Vinci, legato all’uomo d’onore Andrea Manciaracina, si rendeva protagonista delle principali dinamiche imprenditoriali-mafiose del mandamento di Mazara del Vallo in direzione dell’area marsalese.

Vinci, infatti, operando con il supporto di parte degli esponenti di cosa nostra lilibetana, segnatamente Vincenzo D’Aguanno e Michele Lombardo, nonché con il sostanziale beneplacito di AGATE Epifanio Agate (figlio del defunto boss mazarese Mariano Agate) e Vito Gondola inteso “coffa” (reggente del mandamento investigato), avviava svariate iniziative economiche volte all’acquisizione di una posizione di sostanziale predominio nel mercato delle forniture di conglomerati cementizi nell’area marsalese.

Tale intraprendenza generava e catalizzava le numerose criticità esistenti negli assetti associativi, cagionando innumerevoli interventi mediatori degli affiliati, che svelano gli apporti economici forniti da Vinci per garantire il sostentamento del consesso associativo mafioso.