La partita a scacchi del gattone fiorentino col topolino gelese
I mali della Sicilia vengono da lontano, hanno origini storiche e culturali e sono stati “incubati” dalla politica.
Finita la stagione degli ideali, in cui i padri dello Statuto Autonomistico disegnarono un quadro normativo che avrebbe potuto realmente colmare il cronico gap che ci affligge, la classe dirigente si è limitata a sfruttare parassitariamente il surplus di risorse, per assicurarsi privilegi e gestire il consenso clientelare.
Tutto girava attorno alla Regione, una grande mammella inesauribile che dava lavoro direttamente o attraverso le società partecipate, faceva da ammortizzatore sociale con sussidi e precariato, inventava lavori socialmente inutili e conviveva con la mafia che a sua volta, riciclava enormi risorse finanziarie provenienti prima dal sacco edilizio delle città, poi dal traffico internazionale degli stupefacenti.
Le raffinerie dei poli industriali pompavano petrolio e deturpavano l’ambiente, le raffinerie di eroina gestite sul territorio dalla mafia pompavano miliardi che, in assenza di qualunque forma di controllo, sostenevano il PIL. Le produzioni della Regione imprenditrice, in un mercato non ancora globalizzato, riuscivano a reggere e complessivamente si aveva l’impressione fallace di una Sicilia che viaggiava verso la modernità, mentre scavava il burrone.
L’ultimo epigono di questo sistema destinato alla bancarotta, fu Totò Cuffaro, un mago nella gestione clientelare allargata, in un redditizio consociativismo, anche agli avversari politici, che in pubblico lo combattevano e in privato trattavano la loro parte di bottino.
Solo che il mitico “vasa vasa” associava a questa concezione politica, un tratto di umanità personale che lo portava ad occuparsi anche di persone con cui non aveva un rapporto di scambio, motivo per il quale ci sono tanti siciliani che lo ricordano ancora con affetto, nonostante le sue vicissitudini giudiziarie e politiche. Insomma, in un mondo di professionisti del “mordi e fuggi” che si presentavano solo al momento del voto, Cuffaro veniva (e viene tuttora) percepito come un “unicum” a cui perdonare i vizi pubblici (anche perché vizi privati non se ne conoscono, a differenza di tanti altri).
Questa lunga premessa serve a sostenere che, quando Rosario Crocetta dice di avere ereditato una situazione disastrosa, ha ragione.
Solo che qui le sue ragioni si fermano. Ogni intervento strutturale prodotto dal suo governo ha avuto un esito disastroso: la finta abolizione delle province, che è servita da spot iniziale e ha di fatto azzerato tutti i servizi che le Province, fra sprechi e inefficienze garantivano; la Formazione Professionale, un carrozzone clientelare gestito come un bancomat, sepolto dalle macerie, senza uno straccio di alternativa per chi comunque ci lavorava anche onestamente; gli enti partecipati, di cui era stata promessa la liquidazione e sono ancora lì ad ingrassare gli amministratori del nulla, pescati da Crocetta nel suo “cerchio tragico”.
A tutto ciò si aggiunge una imbarazzante incapacità amministrativa, che ha reso i governi di Saro da Gela i più bocciati dai tribunali amministrativi nella storia dell’Autonomia. Chiariamo non i peggiori, che sarebbe un giudizio politico, ma proprio quelli che, in base ai numeri, hanno perso più cause davanti al TAR e al CGA.
In questo contesto Crocetta ha dovuto giocoforza chiedere aiuto a Roma, che ha colto la palla al balzo: in cambio di 550 fantomatici milioni, ha chiesto e ottenuto la rinuncia a un contenzioso di quattro miliardi; con un decreto nazionale, ha imposto nuove trivellazioni alla Sicilia perpetuando lo scempio ambientale; ci ha mandato un assessore al Bilancio, con il compito di tagliare stipendi, pensioni e trasferimenti agli enti locali e, attraverso i tavoli di concertazione, detta l’agenda delle riforme.
Un solo atto di “ribellione” ha compiuto Crocetta, peraltro seguendo la scia del lombardo Maroni: l’impugnativa della legge di stabilità nazionale che aveva attuato un ulteriore “scippo” di 1,2 miliardi di fondi del Patto di Azione e Coesione, originariamente destinati alla Sicilia.
A questa mossa Renzi ha risposto con la minaccia di impugnare il bilancio provvisorio della Regione che, come abbiamo scritto nei giorni scorsi e confermiamo oggi, non è conforme alle norme sulla contabilità. La successiva parziale e unilaterale smentita di Crocetta è solo una delle tante mosse della impari partita a scacchi che si sta svolgendo fra il “gattone” fiorentino, che ha dalla sua consenso, leve di governo e cordoni della borsa e il “topolino” gelese che non ha una maggioranza, procede a tentoni, emette provvedimenti privi di ancoraggio normativo e un giorno sì e l’altro pure prende schiaffoni in tutte le sedi politiche, sindacali e giudiziarie, mentre il Faraone della Leopolda sicula gli scava il terreno sotto i piedi.
Se non ci fosse in ballo il futuro della Sicilia, potrebbe essere la trama di un film comico.