Io, mai niente con nessuno avevo fatto
Catania – Prendiamo posto in sala e come al solito chiacchieriamo aspettando che si spengano le luci e che lo spettacolo inizi quando all’improvviso veniamo catapultati in un’altra dimensione. Per qualche attimo rimaniamo smarriti, la musica che accompagnava l’attesa, ancora alta, continua a suonare sulle voci e i gesti dei due attori entrati in scena prendendosi a cuscinate, come due bambini un attimo prima che arrivi la madre a rimproverarli.
Questa pièce, vincitrice del Roma Fringe Festival 2013, leggo, racconta la storia di Giovanni, giovane incarnazione dell’ingenuità e della passione allo stato puro. So che si parlerà di omosessualità e AIDS; mi fermo, non voglio sapere altro.
Tendo le orecchie e aguzzo l’udito per tutto il tempo, non solo perché la lingua del dramma, il siciliano, risulta complessa: ogni parola, ogni frase racconta un sottotesto.
Si sente nell’aria l’esigenza di far uscire quella sicilianità che è umanità, che è la vita non solo dei siciliani ma rappresenta la semplicità e allo stesso tempo la complessità emozionale di un popolo verosimile, non borghese, estremamente attuale.
Sentire il teatro che cambia rotta, che si dirige verso un mondo scarno in quanto reale, non barocco, privo di orpelli e inutili fronzoli che distolgono l’attenzione e coprono, compromettono.
Nessuna scenografia, si direbbe, considerando che gli unici elementi in scena sono un baule, un abito e un rossetto: uno spettacolo che non necessita di sottotitoli visivi, che è già completo di una scenografia forte, fatta di evocazioni e parole, paesaggi chiari e definiti.
La novità non sta nei temi trattati ma nella forza espressiva, nella potenza dei personaggi. La stessa storia è raccontata a più voci, da più occhi, quelli del protagonista Giovanni (Joele Anastasi), di sua cugina Rosaria (Federica Carruba Toscano), e del suo unico amore, Giuseppe (Enrico Sortino).
Giovanni cresce con Rosaria, con la quale condivide la passione per il ballo che lo porta a incontrare Giuseppe, giovane maestro di danza, rappresentazione del machismo e dell’ipocrisia, che diventa non solo il suo amante ma anche il suo amore.
Giuseppe però ha un passato meno innocente, di sesso e violenza, e un presente improntato di falsità, con un matrimonio d’apparenza e avventure con uomini per soddisfare i suoi reali bisogni.
Davvero penetranti risultano i tre attori in scena che, con crudezza e semplicità, hanno portato sul palco i loro personaggi, abbandonando schemi accademici e performance da manuale.
Coinvolgente l’interpretazione della Toscano che ha impersonato brillantemente l’unica donna della pièce e tutte le donne del mondo, incarnando la coscienza e la consapevolezza, la tenerezza e l’amore di una madre-sorella, il dramma della violenza di genere.
E proprio la violenza, sessuale, verbale, fisica, è un elemento costante dalla quale tutti i personaggi, anche quelli non presenti in scena, sono toccati. E dalla violenza e dalla povertà, dalla bruttura della realtà Rosaria e Giovanni vogliono scappare, sognando di superare lo stretto a bordo di un traghetto e levarsi per sempre i marchi indelebili che la loro terra ha affibbiato loro. Ma quel viaggio, la speranza di una vita migliore, diventa alla fine l’unica tragica possibilità di salvezza dalla malattia e dalla sofferenza: la morte. Perché Giovanni, mai niente con nessuno aveva fatto, solo con lui.