Sta per partire la XIV edizione di Identità Golose, il Congresso Internazionale di Cucina e Pasticceria d’Autore, che dal 3 al 5 marzo accoglierà a Milano i più grandi professionisti della cucina e della pasticceria. Cuochi che sanno dare un’impronta originale al proprio lavoro, nel campo della tradizione e lungo i sentieri della creatività.
Ne parliamo con il suo ideatore e curatore, Paolo Marchi, giornalista professionista, che decide, dopo una lunga esperienza al Giornale, di dedicarsi esclusivamente al mondo della gastronomia e dar vita ad una rivista e un evento che hanno contribuito in maniera importante a far conoscere l’alta cucina italiana.
“Quando tutto è iniziato, la prima edizione è partita nel 2005, non eravamo così tanto legati agli smarthphone. Oggi, invece, la tecnologia e i social hanno stravolto la quotidianità delle persone. Tutto è a portata di mano: puoi conoscere i menù, com’è organizzato un ristorante, le novità e così via. Da un lato è un aspetto positivo, ma dall’altro tutto questo ha tolto il piacere della scoperta, ha sminuito l’importanza dell’incontro tra le persone, perché molti si sentono appagati dalle sole immagini dei piatti che hanno invaso il web.
Bisogna, invece, ricordare che i ristoranti, con i propri prodotti, sono figli di un’attività umana. Il “Fattore Umano” ha a che fare anche con i rapporti tra lo chef e la sua brigata, tra il personale di sala e il cliente. Nell’era in cui i robot, in alcuni contesti, sostituiscono gli esseri umani, la condivisione, il piacere di mangiare insieme è qualcosa di insostituibile”.
“Viene scelto di volta in volta un tema e di conseguenza viene individuata quella regione che ha espresso in un determinato settore un’idea forte da meritare un palcoscenico. Nel 2006, ad esempio, la prima regione ospite è stata la Sicilia, quando si parlava molto dell’idea di cucina di Ciccio Sultano e c’erano tanti chef siciliani emergenti. Poi nelle edizioni successive abbiamo anche introdotto degli speciali dalla pasta, alla pasticceria, al pesce”.
“Si, quest’anno Identità Champagne sarà targata Veuve Clicquot, la cui immagine è legata alla ristorazione femminile, per cui ci sembrava giusto invitare delle cuoche, visto che peraltro in Italia ne abbiamo molte di talento. Ricordiamo che il nostro è il Paese in cui c’è il maggior numero di donne chef che hanno conquistato le stelle Michelin, e che sempre più ragazze scelgono di diventare delle chef, pur non avendo alle spalle famiglie di ristoratori. Esempi sono Cristina Bowerman e Antonia Klugmann”.
“E’ nata da un’arrabbiatura e da una considerazione che spiego. I congressi di cucina li hanno sempre organizzati gli spagnoli. Rafael Garcia Santos negli anni ’90 lanciò la guida “Le Mejor de la Gastronomia”, che aveva nell’idea di occuparsi di gastronomia la sua peculiarità, presentando i migliori cuochi, i migliori vini e i migliori prodotti.
Stava esplodendo una generazione di nuovi cuochi, espressione di una cucina nuova, che si distaccava dall’alta cucina di stampo francese. Fu colui che intuì prima degli altri che questo cambiamento andava spiegato. Per cui nel ’98 decise che la presentazione della sua guida fosse accompagnata da un congresso in cui i cuochi premiati spiegassero i loro piatti.
Dal 2003, però, questo congresso divenne più una celebrazione della cucina spagnola, che una passerella per presentare le novità. Peraltro mi resi conto che i cuochi italiani che venivano invitati lì, finivano per donare il loro sapere in terra straniera, senza avere alle spalle un sistema Italia che valorizzasse il loro lavoro. Così, nel gennaio del 2004, tornando da “Madrid Fusion” dissi a Carlo Cracco che era arrivato il momento di creare in Italia un luogo dove i giovani cuochi avessero la possibilità di spiegare le proprie eccellenze”.
“Un po’ ovunque. Un grande vantaggio della cucina italiana è che piace in tutto il mondo. Questo però a volte diventa un problema, perché continuano a essere punti di forza e ad essere richiesti sempre gli stessi piatti: dagli spaghetti al risotto, dalla pizza al tiramisù. All’estero diventa difficile far passare il messaggio che la nostra cucina è anche innovazione e creatività, come dimostrano i piatti di Ciccio Sultano e Pino Cuttaia”.
“Quello che ci manca è sicuramente il Giappone, ma anche la Germania, che ha avuto sempre un grande amore per l’Italia e il Brasile, dove c’è un bel fermento in questo momento dal punto di vista gastronomico”.
“Si perché con 75 euro, vini compresi, abbiamo dato la possibilità per sei mesi di provare l’alta cucina. Finita l’esperienza dell’Expo questa cosa è venuta un po’ a mancare e abbiamo pensato di riproporla. Deve essere chiaro che non si tratta di un ristorante, ma di un hub in cui far assaggiare, a prezzi competitivi, eccellenze provenienti da tutto il mondo, prevedendo anche una sala lettura e una sala conferenze. In altre parole un luogo in cui poter far cultura e ricerca”.
“Il futuro della cucina italiana deve avere al centro la tutela dei prodotti. Se riusciremo a far questo, preservando le materie prime, che stanno alle base dei nostri piatti, la cui qualità è sempre più minacciata dall’inquinamento, non avremo problemi”.
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