Un’ infermiera eritrea di 42 anni, Lucia Cargnino Galluzzo, decide nel Giugno del 1991 di suicidarsi a casa della madre adottiva, almeno è questo ciò che dichiara agli inquirenti. Quindi apre i rubinetti del gas , accende una sigaretta ed esce di casa. Risultato: tre morti e una decina di persone ferite. Il palazzo completamente deflagrato, terrore tra la gente del posto, il botto si è sentito pure su Nettuno. Polizia, ambulanze, autorità immediatamente sul luogo. La signora Lucia, che già in passato mostrava segni di squilibrio mentale è la principale indiziata e rea confessa. Ripeteva ai poliziotti che non riusciva a superare il fatto che la madre fosse morta, se n’era accorta proprio in quel momento, è stato un gesto d’impeto.
Le forze dell’ordine e i vigili del fuoco scavano giorno e notte per recuperare i corpi degli inquilini della palazzina, si cerca senza risultato anche il corpo della madre.
Succede poi, dopo un paio di giorni, che nella discarica di Bellolampo viene ritrovato un cadavere di un’anziana signora tagliato in due. Per il perito autoptico dell’istituto di medicina legale non vi è alcun dubbio: si tratta del corpo di Antonietta Cargnino Galluzzo, la madre dell’attendente suicida.
La figlia, qualche giorno prima, non solo aveva ucciso la madre, ma l’aveva fatta a pezzi e gettata nella spazzatura della stessa Via Gemmellaro , cuore di Palermo, dove le due donne abitavano.
La notizia fece immediatamente il giro d’Italia, tanto che l’allora Presidente Cossiga telefonò personalmente
alla Procura di Palermo per informarsi dell’accaduto e mostrare il suo cordoglio.
Sono passati quasi 23 anni e tutto è rimasto come allora. Ad abitare il perimetro del rudere qualche topo ed un giardino di alberi e spazzatura. Della palazzina non è rimasto niente, nemmeno le mura portanti oramai sostituite da lamiere fatiscenti, e nulla meglio del “niente” è adatto a ricordarci quanto sia imprevedibile e ricorrente la follia umana, esattamente come l’oblio.
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