Ciancio: affari con Cosa Nostra e 52 milioni in Svizzera non dichiarati

Cinquantadue milioni di euro depositati in Svizzera e non dichiarati in occasione dei precedenti scudi fiscali.
Li hanno trovati i magistrati inquirenti catanesi indagando su Mario Ciancio Sanfilippo , il potentissimo editore catanese de La Sicilia, già ai vertici di Fieg ed Ansa, indagato dalla procura per concorso esterno in associazione mafiosa.
La rivelazione sul patrimonio custodito all’estero è contenuta negli atti dell’inchiesta su Ciancio: il 14 gennaio scorso la procura guidata da Giovanni Salvi ha emesso l’avviso di conclusione delle indagini. L’editore a sua volta doveva presentare la propria memoria difensiva entro il 13 febbraio. L’avviso di conclusione delle indagini è il presupposto di una possibile richiesta di rinvio a giudizio: sarebbe la prima, dopo che la procura di Catania ha chiesto per ben quattro volte l’archiviazione dell’editore, l’ultima nel settembre del 2012, respinta dal gip Luigi Barone.
“Sono molto sorpreso: è del tutto evidente la stranezza di un mutamento di opinione da parte della Procura”, è la dichiarazione di Carmelo Peluso, uno dei legali di Ciancio. Ma negli ultimi due anni d’indagine, i pm catanesi hanno accumulato ulteriori prove e testimonianze sul conto dell’editore più potente del Mezzogiorno. A suo carico anche le motivazioni della sentenza di primo grado, che ha condannato l’ex governatore Raffaele Lombardo a a sei anni e otto mesi per concorso esterno a Cosa Nostra. Nelle 325 pagine con cui il gup Marina Rizza motiva la condanna dell’ex presidente, il nome di Ciancio compare parecchie volte..
Secondo il giudice, l’editore avrebbe intrattenuto attività imprenditoriali con un esponente di Cosa Nostra palermitana.
“Il modus operandi e la presenza di elementi vicini alla mafia palermitana fanno ritenere con un elevato coefficiente di probabilità che lo stesso Ciancio fosse soggetto assai vicino al detto sodalizio” scrive il gup. “Attraverso i contatti con Cosa nostra di Palermo”, quindi, l’editore “avrebbe apportato un contributo concreto, effettivo e duraturo alla famiglia catanese”. Il riferimento è alle varianti urbanistiche che avrebbero fatto schizzare alle stelle il valore di alcuni terreni di proprietà dell’editore. Agli atti dell’inchiesta dei pm etnei, però, c’è dell’altro. “La contestazione – scrive oggi la procura di Catania in una nota- si fonda sulla ricostruzione di una serie di vicende che iniziano negli anni ’70 e si protraggono nel tempo fino ad anni recenti; si tratta in particolare della partecipazione ad iniziative imprenditoriali nelle quali risultano coinvolti forti interessi riconducibili all’organizzazione Cosa Nostra, catanese e palermitana. Negli atti sono confluiti anche i documenti provenienti dagli accertamenti condotti in collegamento con le Autorità svizzere e che hanno consentito, attraverso un complesso di atti di indagine, di acquisire la certezza dell’esistenza di diversi conti bancari.
Gli inquirenti catanesi, in pratica, avrebbero seguito la traccia dei soldi per ricostruire i contatti d’affari tra Ciancio e gli imprenditori in odor di mafia. Una traccia che conduce direttamente ai caveaux elvetici.
“In quelli per i quali sono state sin qui ottenute le necessarie informazioni – proseguono i pm – sono risultate depositate ingenti somme di denaro, 52.695.031 euro per la precisione, che non erano state dichiarate in occasione di precedenti scudi fiscali”. Davanti ai pm, Ciancio ha provato a giustificare l’origine di quelle somme, ma la sua auto difesa non ha convinto gli inquirenti, che anzi specificano come “la successiva indicazione da parte dell’indagato della provenienza delle somme, non documentata, abbia trovato smentita negli accertamenti condotti”.