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Cambio di prospettiva: “Con gli occhi di un altro” di Raffaele-Addamo

Film sulla mafia e, segnatamente, sulle stragi di Capaci e via D’Amelio se ne sono realizzati parecchi, per il cinema e per la tv, in Italia e perfino all’estero, fedeli alla cronaca o aleatoriamente ispirati ai fatti di sangue che in maniera triste e ingenerosa connotano la Sicilia.

L’allegorico mediometraggio Con gli occhi di un altro, diretto e interpretato (nel ruolo del giudice agonizzante) da Antonio Raffaele-Addamo (esperienze di palcoscenico e non, anche internazionali), tratto da un altrettanto simbolico e suggestivo atto unico – più orientato verso la poesia in note che verso la prosa, scritto da Cetta Brancato (con introduzione di Andrea Camilleri) e rappresentato a teatro con successo – dal nome evocativo 19 luglio 1992 (semmai qualcuno non lo sapesse, il giorno in cui furono uccisi Paolo Borsellino e i suoi cinque agenti di scorta), non punta a una ricostruzione di cronaca, né a ricavare una storia che possa rimandare a eventi reali per poi imboccare un percorso narrativo diverso. È piuttosto l’inquietante – eppure non priva di speranza – messinscena (imperniata, nella trasposizione, più sulla forza delle immagini che su quella delle parole o della melodia) di un tardivo, quasi impossibile ravvedimento, praticamente un suicidio a scopo di espiazione, che si attua mentre un onesto servitore dello Stato, colpito senza scampo, dialoga mentalmente con una consolatoria figura femminile (la terra madre? la speranza? la morte?), che ha il volto di Danila Laguardia (pure produttrice per l’associazione culturale Tersite). Un sacrificio non inutile, se ancor prima di questo passaggio, in cui un’anima sembra compenetrarsi in un’altra, l’uomo riesce a trasmettere qualcosa di tormentante e di buono al suo aguzzino, spietato, incallito e quotatissimo killer (il valido Filippo Luna, che meriterebbe più opportunità cinematografiche), in un gioco di sguardi che diventa germe – forse, un domani – di redenzione. Certo, il regista si sofferma pure sul criminale di lungo corso (Antonio Silvia) che gongola a braccetto con il mandante, il classico politico colluso (Dino Spinella), e il confronto con tali personaggi – la parte più “terrena” della vicenda – è inevitabile. Ma si conferma la volontà di comunicare per emozioni, anziché per azioni.

Dedicato a tutti i magistrati e poliziotti ingaggiati per proteggerli caduti, tra il 1971 e il 1992, per vile mano di Cosa Nostra, doverosamente ricordati, uno per uno, lungo i titoli di coda, il lavoro di Raffaele-Addamo, come si accennava all’inizio, evita di rifarsi a pellicole già girate sul tema (malgrado un possibile accostamento a Il sasso in bocca di Giuseppe Ferrara). Prodotta con sostegni regionali nell’ambito del progetto Sensi Contemporanei, l’opera (che si avvale di Silvia Scerrino come executive, delle musiche di Marco Betta, delle scene e dei costumi di Dora Argento e della fotografia di Irma Vecchio, nonché di alcuni splendidi paesaggi naturali di Gibellina) è stata presentata a stampa e pubblico lo scorso 1 marzo presso il cinema Rouge et Noir di Palermo; l’indomani è servita da spunto alla tavola rotonda Le seduzioni del crimine – L’ambigua icona del mafioso nel cinema a palazzo Steri. Da metà marzo in vendita, edito da Kalòs, un cofanetto con il testo di Brancato e il dvd, comprensivo di un backstage di Gabriele Ajello.

a cura di Massimo Arciresi
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