“La notizia dell’arresto del latitante Matteo Messina Denaro riempie di gioia quanti hanno combattuto e combattono quotidianamente la mafia in Sicilia a tutti i livelli. E’ infatti doveroso ricordare che il potere mafioso si insinua non solo nei grandi appalti ma, al contrario, nella vita quotidiana e nelle piccole attività economiche locali manipolandole e finanziando le aziende conniventi a discapito di quelle oneste”. Sono queste le parole di Massimo Mirabella, Presidente della Società Geografica Siciliana con sede a Palermo e che è, presso il Tribunale di Trapani, impegnata come parte civile al processo ISCA che vede alla sbarra il costruttore di Calatafimi Francesco Isca, l’ex sindaco del comune del Trapanese Vito Sciortino e un gruppo di vigili urbani. Dietro Francesco Isca, ornai è noto dalle dichiarazioni di diversi collaboratori, c’erano i soldi di Messina Denaro che ha investito direttamente nelle attività eoliche della zona del Trapanese e nella realizzazione dell’ Archeodromo: un mega posteggio privato proprio a ridosso del frequentatissimo Parco archeologico di Segesta.
Grazie a diverse connivenze nell’Amministrazione comunale di Calatafiimi di allora il posteggio ha di fatto avuto il monopolio commerciale escludendo altre aree di sosta private e pubbliche a tutto vantaggio di coloro che vi avevano investito: Messina Denaro in primis. L’operazione Phimes dei Carabinieri di Alcamo, lo ricordiamo, nel febbraio del 2020, mise fine all’attività criminale ponendo i sigilli al posteggio e compiendo una decina di arresti. “La Società Geografica Siciliana, ente associativo che lavora in ambito della ricerca archeologica e della promozione del territorio siciliano, è stata ammessa dalla Corte come unica parte civile al processo Isca – conclude Mirabella – ed è impegnata senza tregua contro tutte le forme di delinquenza e mafia che sfruttano la cultura e i beni archeologici siciliani per trarne un profitto personale”.
Il caso della costituzione come parte civile della associazione SGS è l’unico caso in Italia che vedrebbe, in caso di condanna e ristoro economico per la parte civile, soldi di provenienza illecita tornare alla società civile ed essere investiti in attività di studio, scavo archeologico e promozione dell’immagine della storica area segestana. Il processo è ancora in corso presso il Tribunale di Trapani.
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