Zelensky non si fida delle promesse, a Kiev esplosioni
I colloqui di Istanbul tra le delegazioni di Russia e Ucraina hanno dato segnali positivi, con progressi nelle trattative e l’impegno di Mosca nella riduzione delle ostilità. Kiev, però, sembra non fidarsi e teme che il ritiro delle truppe possa mirare a “fuorviare la leadership militare” ucraina.
Zelensky chiede “un risultato concreto” mentre a Kiev si avvertono ancora esplosioni, nel trentacinquesimo giorno di guerra. Secondo lo Stato maggiore delle forze armate ucraine, sebbene il ritiro delle “unità delle forze armate della federazione russa” dalle aree di Kiev e Chernihiv prosegua, “secondo alcune indicazioni” i russi stanno “raggruppando le unità per concentrare gli sforzi principali sull’Est”, è spiegato in un aggiornamento. Per le forze armate ucraine, dunque, il ritiro delle truppe è “probabilmente una rotazione di singole unità” e “mira a fuorviare la leadership militare” ucraina e “creare un’idea sbagliata sul rifiuto degli occupanti di pianificare l’accerchiamento della città di Kiev”. Inoltre, non ci sarebbero “cambiamenti significativi nella composizione e nella posizione” delle truppe russe nelle aree di Volyn, Polissya e Siversky. “Gli occupanti russi – scrive lo Stato maggiore delle forze armate ucraine – stanno cercando di mantenere i confini precedentemente occupati, non stanno effettuando operazioni offensive attive in queste aree”. Nel frattempo, è ancora allerta a Kiev, dove nella notte risuonavano le sirene d’allarme antiaereo. Poi, questa mattina, sono state udite esplosioni nei pressi della capitale, secondo quanto riferisce una corrispondente della Bbc. L’impegno della Russia a ridurre le ostilità nei territori di Kiev e Chernihiv non convince il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
“Il nemico – ha detto Zelensky – è ancora nel nostro territorio, continuano i bombardamenti delle nostre città, Mariupol è bloccata. Missili e attacchi aerei non si fermano. Questa è la realtà, questi sono i fatti”. Per il presidente ucraino, i segnali giunti dai negoziati di Istanbul possono essere definiti “positivi” ma “non mettono a tacere l’esplosione dei proiettili russi. Naturalmente – ha spiegato -, vediamo tutti i rischi. Naturalmente non vediamo alcun motivo per fidarci delle parole di alcuni rappresentanti di uno Stato che continua a combattere per la nostra distruzione. Gli ucraini – ha continuato – non sono persone ingenue. Gli ucraini hanno già imparato durante questi 34 giorni di invasione e negli ultimi otto anni di guerra nel Donbass che ci si può fidare solo di un risultato concreto”, ovvero dei “fatti, se cambiano sulla nostra terra”, ha affermato.
“La questione delle sanzioni – ha aggiunto – non può nemmeno essere sollevata finché la guerra non sarà finita”. Intanto Washington fa sapere che prima di un incontro tra il presidente Usa Joe Biden e l’omologo russo Vladimir Putin è necessaria una de-escalation. Parlando con i giornalisti, il direttore delle Comunicazioni della Casa Bianca, Kate Bedingfield, pur non indicando “le precondizioni per una conversazione” tra i due leader, ha affermato che “il presidente Biden è stato molto chiaro che ci deve essere una tangibile de-escalation dalla Russia e un chiaro, vero impegno” diplomatico perché possa esserci un colloquio tra i due presidenti.