Il musicista Carlo Virzì, fratello più giovane di Paolo, aveva già intrapreso la carriera di regista nel 2006 con L’estate del mio primo bacio. Nel 2012, segnatamente il 4 aprile, è uscita la sua opera seconda, I più grandi di tutti, più personale e rifinita, non solo per la massiccia presenza del rock e neppure per qualche ironica e amara eco del cinema del parente stretto: si sente una partecipazione maggiore, praticamente un affetto per i personaggi, ossia gli scalcagnati membri di una band dissoltasi da tempo dopo un effimero successo (i quali hanno i volti di Alessandro Roja, Claudia Pandolfi, Marco Cocci e del vero chitarrista Dario “Kappa” Cappanera, all’esordio come attore), riconvocati e sostenuti da un ricco giovanotto in sedia a rotelle (Corrado Fortuna), sedicente giornalista di settore; un revival che ha più di un’ombra e che è l’occasione per una svogliata rimpatriata e qualche bilancio. Il film, forse non abbastanza promosso, non ha ricevuto l’attenzione che si meritava dal pubblico. La sua recente pubblicazione in dvd è l’occasione per riparlarne e proporre un’intervista all’autore e ai protagonisti Pandolfi, Roja e Fortuna in occasione dell’incontro con i giornalisti.
Carlo Virzì, un’opera seconda dopo sei anni. Fosse per te dirigeresti più spesso?
«Fosse per me, sì. Il fatto è che ti misuri con il mercato. Tra l’altro, ho una sorta di senso di colpa, essendo un musicista. Però ci sto prendendo gusto. In fondo è un passaggio abbastanza naturale. Poi nel film sono riuscito a coinvolgere degli amici che mi hanno aiutato molto.»
Complessivamente, la storia che racconti non mi pare molto ottimista, c’è un’evoluzione quasi obbligata dei personaggi. In ogni caso, toni assai diversi dal tuo debutto.
«Inevitabile. Quel film era tratto da un romanzo di Teresa Ciabatti, una scrittrice molto lontana da me, culturalmente e socialmente. Era una proposta che mi avevano fatto, nata da un’osservazione di Riccardo Tozzi, produttore di Cattleya, mentre facevo il casting di Caterina va in città: aveva notato che riuscivo a interagire bene con i ragazzini. Forse intendeva anche “marchiare” la storia, e io candidamente ho accettato. Quindi, essendomi già esposto con una storia non mia – e forse il risultato non era proprio perfetto –, sentivo di dovermi rifare. Magari per qualcuno questo film sarà anche peggio, sicuramente è molto più sentito, ritenevo stavolta di poter dare di più.»
Claudia, dai titoli di coda si apprende che i pezzi originali sono suonati da Carlo e dagli altri attori, ma non da te e Alessandro. Qual è stato effettivamente il tuo rapporto con il basso?
«Sul set ho “barato”: conosco alcuni accordi e suonicchio pedissequamente.»
Il tuo personaggio, Sabrina, all’inizio sembra essersi inserita in un ambiente diverso rispetto al suo, ma poi è una sciagurata come gli altri
«Sì, forse più degli altri. Ha fatto un cambio radicale, si è imborghesita, e si accompagna con questo uomo (Francesco Villa in arte Franz, ndr) che le vuole tanto bene e che probabilmente l’ha risollevata da una situazione “tossica”. E quindi lei in tale contesto non c’entra niente, si vede che è un pesce fuor d’acqua, e quindi fugge appena ne ha l’occasione: è una disperata come i suoi amici, con una grande passione per la musica che le vibra ancora dentro.»
E invece tu, Alessandro, come te la sei cavata con la batteria?
«La cosa che mi interessava di più, da attore, era solo riprodurre la gestualità. Quando mi hanno formato era un casino, tendevo a suonarla male. Dopo, grazie a un bravo coach, Rolando Cappanera (cugino di Dario), sia prima che durante le riprese, il mio livello è migliorato.»
Il tuo Loris ha l’onere particolare di guidarci all’interno della storia.
«Beh, sì, è il filo rosso, quello che deve riunire tutti. In un certo senso è il ruolo centrale, dato che deve sobbarcarsi questo compito. Deve cercare nel suo metaforico e accantonato scatolone del complessino di tirare fuori i pezzi del passato e rintracciare i vecchi compari, che aveva abbandonato credo anche volentieri. Grazie a quest’avventura prova poi a recuperare il rapporto con il figlio. Sembra un ribaltamento di ruoli: il ragazzino appare adulto mentre Loris sembra un bambinone. Mi pare che si parli soprattutto di questo; il rock è una cornice nella quale ci muoviamo, caratterizza i personaggi. Ma soprattutto parla del momento in cui i giovani – che in Italia restano “giovani” a lungo – devono accettare lo scorrere del tempo e il passaggio di ruolo. E maturare, suggerisce il film, non significa necessariamente diventare noiosi: si può mantenere un’anima rock.»
Corrado, tu interpreti Ludovico. Si può dire, senza rivelare molto, che la madre gli fa un regalo unico, che altri non potrebbero mai ricevere?
«Assolutamente sì, non c’è da immedesimarsi troppo. Stiamo parlando di un personaggio miliardario, uno che vive in una casa che definire tale è quasi ingiusto, riduttivo: abita in un castello con i maggiordomi e con la cuoca. Proprio per questo motivo, probabilmente, è molto viziato e abituato a comandare, a schioccare le dita e ottenere ciò che vuole. E quindi in questo caso, oltre alla mamma, meravigliosa Catherine Spaak, e al suo assistente, Frankie Hi-NRG, comanda ai Pluto di fare ciò che vuole lui.»
Com’è andata con un non-attore come Frankie HI-NRG?
«Parli con un non-attore, quindi è andata molto bene. Entrambi i fratelli Virzì hanno evidentemente la grande capacità di far recitare anche i comodini e gli sgabelli dei bar. Quindi Frankie, che comunque è una persona avvezza al palco, al pubblico, allo spettacolo, in 20 secondi è diventato Saverio. Così come Dario Cappanera, che nel film è il chitarrista dei Pluto e nella realtà è un musicista livornese molto importante, uno che suona con una storica metal band che esiste dagli anni ’70 e che si chiama Strana Officina. Uno che davanti alla macchina da presa non c’era mai stato, eppure se guardate il film sia lui che Frankie sono una rivelazione!»
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