La tragica vicenda di Roberta Siragusa ha riacceso nuovamente i riflettori sul dramma della violenza di genere. Purtroppo neanche Il periodo del lockdown è riuscito a frenare il fenomeno. Anzi, se da un canto si è assistito ad una riduzione del numero totale degli omicidi, tra gennaio e giugno del 2020 il dato delle donne assassinate è aumentato.
È uno dei dati più significativi che emerge dal report elaborato dal Servizio analisi della direzione della Polizia criminale. Uno degli approfondimenti riguarda proprio i dati sugli omicidi volontari che si confermano in calo del 19% rispetto a quelli dell’anno scorso (da 161 a 131) mentre le vittime di sesso femminile aumentano (da 56 a 59) e, se nel 2019 costituivano il 35% degli omicidi totali, nel primo semestre del 2020 l’incidenza si attesta al 45%. Crescono, in particolare, proprio gli omicidi commessi da partner o ex partner (da 32 a 36) e l’incidenza di donne uccise in questo modo (da 71% nel 2019 al 68% nel primo semestre del 2020).
Contrastare il fenomeno è qualcosa di particolarmente difficile ma non mancano le realtà che lavorano quotidianamente su questo fronte. Proprio tra la città e la provincia est di Palermo esiste, ed è particolarmente attiva, la “Rete Antiviolenza Amorù”, un progetto sostenuto dalla Fondazione Con il Sud, la cui organizzazione capofila è la Onlus Life and Life. Dall’avvio del progetto, nel 2019, la rete si è diramata in maniera capillare proprio nell’area est della provincia di Palermo sottoscrivendo dei protocolli d’intesa con i Comuni di Villabate, Bagheria, Casteldaccia, Altavilla Milicia, Marineo, Monte Maggiore Belsito, Roccamena, Castellana Sicula ed anche il Comune di Caccamo.
“Quanto successo a Caccamo purtroppo conferma i numeri emersi dal report della Polizia criminale – afferma la responsabile dell’associazione Life and Life Valentina Cicirello – Sono dati che non lasciano spazio ad interpretazioni. C’è una emergenza da affrontare ed il modo migliore per farlo è quello di costruire una rete solida, capillare e quanto più vicina alle donne che vivono in queta parte della provincia, molto spesso trascurata. Da più di due anni lavoriamo ogni giorno per stare al fianco alle donne che hanno subito violenza o minacce.
C’è poco da girarci intorno: chi denuncia si salva. E’ questa la verità. E’ difficile perché nessuna donna pensa mai che la prossima vittima potrebbe essere lei, ma la vicenda di Roberta ci insegna che il pericolo è sempre più vicino di quanto si creda. Per questo al primo, anche timido segnale di violenza o minaccia c’è una sola strada da percorrere: allontanarsi dal pericolo ed affidarsi ad una rete di protezione discreta ed efficace come la nostra. Chiunque voglia contattarci può farlo tramite il numero 3933833093 o inviando una mail a reteamoru@gmail.com”.
Della rete fanno parte anche diverse altri enti, come la Diocesi di Cefalù, le istituzioni scolastiche presenti in molti Comuni di questa parte della provincia ed una fitta rete di associazioni, fra cui la Fidapa di Caccamo.
“L’amministrazione Comunale e l’Associazione F.I.D.A.P.A. sezione di Caccamo, in un momento di così grande dolore per l’intera comunità esprimono sentimenti di cordoglio e vicinanza alla famiglia di Roberta Siragusa, barbaramente uccisa a soli 17 anni – afferma Rosa Maria Di Cola, nella doppia veste di vice-presidente della Fidapa e di presidente del Consiglio Comunale di Caccamo – Entrambi gli enti dopo aver siglato il Protocollo d’intesa nel 2019, con la rete antiviolenza Amorù, dopo le iniziative intraprese volte alla sensibilizzazione alle tematiche contro il Femminicidio e la violenza sulle donne, auspicano ancor di più una maggior presenza sul territorio al fine di poter sostenere e aiutare tutte le donne vittima di una qualsiasi forma di violenza.
L’amministrazione e la Fidapa ringraziano la Rete Amorù in attesa di continuare fattivamente la collaborazione nel e per il territorio. In tal senso, come gesto simbolico, abbiamo voluto incidere il nome di Roberta Siragusa nella panchina rossa, inaugurata nel 2018 nella villa comunale proprio grazie alla partnership con la rete antiviolenza Amorù. A tutte le donne che anche una sola volta nella loro vita si sono sentite in qualche modo in pericolo o minacciate dico di rivolgersi a questa realtà, fatta di professioniste serie e competenti. Per eliminare questa piaga sociale le donne devono avere il coraggio di denunciare”.
Liliana Pitarresi, coordinatrice Rete Antiviolenza Amorù, psicologa, psicoterapeuta: “Quanto accaduto trafigge il nostro cuore, altera la nostra mente, ponendoci tanti interrogativi sul perché sia successo, come è accaduto, perché tanta brutalità, e come mai gli adolescenti maschi di oggi sono capaci di mettere in atto tanta violenza nei confronti delle donne. Non è facile trovare le risposte adeguate, ciò che accomuna le tante storie di violenza, è l’assenza di una cultura di parità di genere, che in alcuni casi è generazionale, lo era la madre remissiva e accondiscendente al volere del marito e lo è la figlia, perché in alcune famiglie si apprende il modello autoritario maschile come quello vincente che viene trasmesso alla generazione successiva. Nascere “femmina” significa avere un destino segnato, fatto di limitazioni alla propria libertà personale, di rinunce ad un progetto professionale, che non significa per forza non lavorare, a volte le donne possono lavorare, ma solo se scelgono quelle attività, quei percorsi di studio che ottengono il benestare del fidanzato, del marito, possono uscire, ma solo con “lasciapassare” dell’uomo, che delinea il confine tra ciò che è possibile da ciò che non lo è.
Questo a livello esplicito, ma nelle coppie bisogna attenzionare l’implicito, la violenza psicologica, il far sentire la donna sbagliata, il manipolarla, al punto di dubitare lei stessa sulle sue convinzioni personali, soggiogata dal pensiero maschile e al potere che l’uomo esercita su di lei che la portano infine alle rinunce e al dar ragione all’uomo, al quale sono legate. La violenza di genere vorrei ribadire che è trasversale a tutte le culture, le classi sociali, le donne che subiscono maltrattamenti, che evitano di denunciare sono anche colte, sono professioniste, che non hanno il coraggio e la forza di denunciare, perché pensano a volte di non essere credute, sperano in un cambiamento del partner, si sentono sole, perché a volte è la propria famiglia d’origine che tende a minimizzare, i primi segnali di violenza, i maltrattamenti stessi, tende quasi a “normalizzare gli atti violenti” e a ostacolare ogni tentativo di ribellione.
Le mie riflessioni sono frutto di discussioni, incontri nelle scuole, di testimonianze di giovani studentesse, dei racconti delle donne che ricevono aiuto e sostegno all’interno dei nostri sportelli di ascolto e della casa protetta ad indirizzo segreto che si trovano ad Altavilla Milicia, Villabate e Palermo.
Ad oggi, abbiamo offerto alla donne che si sono rivolte ai nostri centri, un aiuto concreto, come l’assistenza psicologica, legale, sociale, l’ orientamento al lavoro, svolgendo un’azione di raccordo con tutti i servizi territoriali che entrano in gioco per sostenere la donna nel suo percorso di uscita dalla violenza. Sono stati svolti numerosi incontri nelle scuole di ogni ordine e grado, e a breve ripartiranno webinar ,incontri, per sensibilizzare le nuove generazioni a cogliere i primi campanelli di allarme, ma nello stesso tempo a stimolare nuove convinzioni personali sull’affermazione dei diritti personali, come il diritto a vivere la vita che si desidera, di scegliere chi frequentare, cosa indossare.
Si tratta di focus tematici sull’affettività e assertività, sullo sport e la legalità in un‘ottica di promozione della parità di genere e di rispetto dei diritti, il nostro è un impegno a promuovere un cambiamento culturale e generazionale.
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