Valeria Grasso denuncia: ”Dove finiscono i soldi del programma di protezione?”
di Barbara Giangrave’
Il cellulare di Valeria Grasso squilla in un pomeriggio primaverile nell’abitazione della localita’ segreta in cui vive. A comporre il suo numero e’ la sottoscritta.
di Barbara Giangravè
Palermo, 5 Apr. – Il cellulare di Valeria Grasso squilla in un pomeriggio primaverile nell’abitazione della località segreta in cui vive. A comporre il suo numero è la sottoscritta. La signora Grasso mi ringrazia, per il solo fatto di essere una giornalista e per la telefonata ricevuta.
Un collega mi ha segnalato la lettera che la signora ha scritto ieri al Presidente della Camera, Laura Boldrini, nella quale chiede – cito testualmente – “Che fine fanno i soldi pubblici? Perché il Servizio Centrale di Protezione si fida ciecamente degli albergatori e non si fida di quello che io dico, né apre una seria inchiesta e né riesce a dimostrare documentalmente ciò che asserisce? Perché il Servizio Centrale di Protezione si preoccupa di addebitare presunti ‘extra’ ai testimoni e non si preoccupa di decurtare agli albergatori la parte di servizi non erogati dall’albergo?”.
Ma facciamo un passo indietro. Di sette anni. Nel 2006, Valeria Grasso gestisce una palestra a Palermo, in via Matteo Dominici, nel quartiere di San Lorenzo. Paga un regolare contratto d’affitto ai signori Di Trapani, ma la proprietà dell’immobile è, in realtà, dei signori Madonia, dell’omonimo clan di San Lorenzo.
Quando l’immobile viene confiscato, le viene anche detto che deve pagare il canone di locazione allo Stato. Ma i signori Di Trapani non sono d’accordo e pretendono ugualmente il pagamento dell’affitto.
“Non le nascondo che essendo una donna sola, separata e con tre figli – mi dice – mi spaventai e decisi di cedere la gestione della palestra a un ragazzo. Ma gli estorsori mi cercarono e mi trovarono. Mi dissero che avevo tre possibilità: o continuare a pagare 500 euro al mese ai signori Di Trapani di tasca mia, o chiederli al nuovo gestore o stare a guardare che fine avrebbe fatto la sua attività. Scelsi la quarta possibilità, quella che mi ero data da sola, e andai dai carabinieri. I miei estorsori furono arrestati e condannati: Salvatore Lo Cricchio a 8 anni e Rosario Pedone a 12 anni e 6 mesi”.
Da quel momento in poi, e siamo ormai nell’aprile del 2012, cioè esattamente un anno fa, la vita di Valeria Grasso e dei suoi figli – di 19, 13 e 11 anni – cambia in maniera irreversibile. Gli viene assegnata un’abitazione in una località protetta e, per legge, gli viene concessa l’erogazione di un contributo di 2.640 € mensili. Ma, prima di ottenere l’abitazione, vivono per alcuni mesi in diverse strutture alberghiere: da maggio a settembre del 2012. In quel periodo, inoltre, il contributo gli viene dimezzato: da 2.640 a 1.320 €.
Dal mese di settembre 2012, dopo aver ricevuto l’abitazione, il contributo avrebbe dovuto essere erogato per intero. Ma a settembre, ottobre e novembre 2012, così come ad aprile 2013, vengono effettuate delle trattenute sul contributo mensile: di 350, 500, 500 e 450 euro. Le trattenute vengono giustificate come il pagamento di “extra”, non meglio precisati, consumati durante la permanenza nelle strutture alberghiere.
La signora accusa: “Lo Sco (il Servizio Centrale Operativo del Ministero dell’Interno, n.d.r.) per la quantificazione degli extra si è basato esclusivamente su quanto comunicato loro dagli alberghi, in modo del tutto arbitrario e senza alcuna possibilità di controllo: né da parte del predetto Servizio Centrale di Protezione, né da parte mia; limitandosi, in ciò, a recepire per buone le fatture loro inviate dai singoli alberghi”.
Da qui la domanda che Valeria Grasso fa al Presidente della Camera, Laura Boldrini, già citata testualmente all’inizio di questo articolo. Ma l’elemento di novità della denuncia della donna è un altro. Ed è strettamente personale.
“Questo mese mi è stato tolta la parte di contributo destinata al mantenimento di mia figlia Margherita (la ragazza di 19 anni, n.d.r.) che, nello scorso mese di gennaio, in preda a una grave crisi depressiva, è dovuta tornare a vivere a Palermo. Non ho mai parlato di lei prima d’ora, così come non ho mai parlato degli altri due. Non mi pento della scelta fatta e, cioè, quella di denunciare i miei estorsori. Neanche i miei figli me lo hanno fatto mai pesare. Ma se è giusto che, ancora oggi, vada in giro per l’Italia a incontrare tante persone per dire loro quanto sia importante non pagare il pizzo, è altrettanto importante dirgli come stanno le cose: la gestione del Programma di Protezione per i Testimoni di Giustizia è quantomeno discutibile. In tempi di spending review, di taglio agli sprechi dei soldi pubblici, io pretendo che gli sprechi vengano eliminati anche in questo settore. Perché è sempre di soldi pubblici che stiamo parlando”.
Abbiamo deciso, di comune accordo, di pubblicare questo articolo stamattina, nella speranza che la sua lettera ricevesse almeno una risposta, nell’arco di 24 ore. Ma così non è stato. Stamattina il cellulare di Valeria Grasso ha squillato di nuovo. Ma ero solo io, che le chiedevo se ci fossero novità.