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Un’altra cosa bella: intervista con Paolo Virzì e Francesco Piccolo

virzi_paolo.jpgvirzi_paolo.jpg “Pensavo che il tono di quest’ultimo film risultasse più simile a quello dei miei precedenti. Invece, il desiderio di riconciliazione familiare che c’era sotto la trama è affiorato di prepotenza, sorprendendo noi autori per primi e procurandoci anche un briciolo di timidezza, la paura di apparire deboli o rammolliti. Eppure, sono orgoglioso di questa piega imprevista, mi ci accosto con un sentimento di estrema tenerezza.” Parola del regista Paolo Virzì, il quale, accompagnato dal suo co-sceneggiatore Francesco Piccolo, ha incontrato i giornalisti alla libreria la Feltrinelli di Palermo (città di provenienza del padre carabiniere e perciò a lui particolarmente cara) mercoledì 20 gennaio per parlare della sua più recente fatica, La prima cosa bella, commedia dalle venature – termine riduttivo – efficacemente commoventi, un “ritorno a casa”, come lo ha definito, nella sua Livorno (dove non girava dai tempi di Ovosodo) amaro e sanguigno. “Praticamente”, gli ha fatto eco Piccolo sull’argomento, “si sente più pudore nel raccontare una storia intima.”

Dunque, queste vicissitudini di una piacente giovane madre degli anni ’70, Anna (impersonata da Micaela Ramazzotti nei flashback e da Stefania Sandrelli nel presente), cacciata di casa con i figli ancora piccoli dal marito geloso, potevano essere ambientate solo nella sua terra natia?
PV: “Certo che no, potevano svolgersi ovunque. Anche, che so, a Padova. Ma ci sarebbe voluto un altro regista, magari Mazzacurati. Poi, il copione l’abbiamo scritto con Francesco Bruni, mio concittadino. La domanda andrebbe girata a Piccolo, che è di Caserta.”
FP: “Ritengo che la vicenda che illustriamo sia esportabile. Seguiamo Bruno (Valerio Mastandrea), professore di liceo fuggito dalla cosiddetta provincia per andare a insegnare a Milano, la ‘grande città’, che suo malgrado rientra. È un percorso universale, le suggestioni partivano da lì. Per quanto mi riguarda, è stato un ‘viaggio’ interessante, pure a Livorno ho trovato delle cose che mi riguardavano…”

È stato difficile convincere il riservato Marco Risi ad apparire brevemente nel ruolo di suo padre Dino mentre sta girando La moglie del prete?
PV: “Anziché cercare un figurante, imbiancargli i capelli e farlo parlare con la ‘r’ moscia, abbiamo provato a chiamare Marco, che è un amico. Non somiglia al suo celebre papà, ma sicuramente lo conosceva meglio di chiunque altro e gli ha messo in bocca delle battute a cui noi non avevamo pensato. Tra l’altro, aveva già ricevuto delle proposte come attore e aveva continuamente rifiutato. A questa non poteva dire di no. È stato davvero carino, generoso e bravo.”

Ne La prima cosa bella, come del resto in tutti i lavori firmati Virzì, c’è una spiccata coralità, nonché attenzione per i ruoli secondari…
PV: “Sì, è vero, è un film corale, affollato di personaggi, ciascuno con il proprio vissuto, e attraversando varie epoche alcuni caratteri sono affidati a più di un interprete; quindi abbiamo avuto un cast numeroso. Tuttavia, c’è da dire che mi sembra che la luce nel dipinto caschi soprattutto sull’Anna del passato.”

Tornando all’impronta narrativa e alle sue inattese pulsazioni, gli aspetti prettamente drammatici vi sono perciò sfuggiti di mano in fase di gestazione?
FP: “Per la verità, abbiamo sempre pensato che questa commedia fosse molto dolente, e le proporzioni sono quelle che immaginavamo di dare. Però è difficilissimo avere un’idea esatta di quello che il pubblico percepirà: uno dei risultati felici di questa nostra nuova collaborazione è notare come agli spettatori il film arrivi in maniera così forte, oltre le nostre previsioni.”

a cura di Massimo Arciresi

(autore fotografie Massimo Arciresi)

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