La fonte è top secret ma gli inquirenti sono propensi a considerarla attendibile: la mafia avrebbe elaborato un piano per uccidere Nino Di Matteo, Pubblico Ministero nel processo sulla trattativa che alcuni pezzi dello Stato avrebbero condotto con Cosa Nostra.
Il progetto di morte era basato sull’appostamento di un cecchino con un fucile di alta precisione che avrebbe dovuto colpire Di Matteo, prima che salisse sull’auto blindata. Si tratterebbe di una scelta che i boss avrebbero fatto rinunciando al famoso tritolo di cui aveva parlato il pentito Vito Galatolo, proprio in relazione all’eliminazione di Di Matteo, considerato il pericolo numero uno per l’organizzazione criminale.
L’esplosione dei duecento chili di tritolo avrebbe potuto provocare infatti i cosiddetti “danni collaterali” con una strage che si sarebbe ritorta contro i suoi ideatori.
Proprio perché la minaccia viene considerata attendibile, il Comitato per l’ordine e la sicurezza, cui è affidato il compito di provvedere alla salvaguardia del magistrato, ha rafforzato il dispositivo di protezione, adeguandolo all’ipotesi di attentato rivelata dalla “gola profonda”.
Pur non usando il “bomb jammer” che individua gli ordigni esplosivi a distanza, perché adatto, secondo gli esperti, solo a scenari bellici, il Ministero dell’Interno ha notevolmente rafforzato la scorta con un nucleo di Carabinieri dei reparti speciali, che seguono costantemente il magistrato nel mirino di Cosa Nostra.
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