Uccide la moglie per gelosia: si applicano le attenuanti?
Dopo avere studiato le occasioni ed opportunità per l’attuazione del proposito omicida e dopo aver confidato a più persone il desiderio di uccidere la moglie, la mattina del 23 dicembre 2018 un uomo affida, senza preavviso, il figlio minore alla sorella e si reca a casa della moglie.
Prima la minaccia con un coltello da cucina per farle confessare supposti tradimenti, poi tenta di strangolarla a mani nude e, alla fine, una volta caduto a terra insieme alla vittima, prende un laccio e la strangola.
L’uomo viene ritenuto colpevole del reato di omicidio per avere cagionato, agendo con premeditazione, la morte della moglie non legalmente separata.
Secondo i Giudici della Corte di Cassazione, “la gelosia costituisce uno stato passionale DI PER SÉ inidoneo a diminuire o ad escludere la capacità di intendere o volere dell’autore di un reato, a meno che la stessa non derivi da un vero e proprio squilibrio psichico tale da incidere sui processi di determinazione e di auto-inibizione: il che però postula uno stato delirante che, nell’incidere sul processo di determinazione o di inibizione, travolge l’agente in una condotta abnorme e automatica; la gelosia, tuttavia, come le altre situazioni psicologiche integranti gli «stati emotivi o passionali» menzionati dall’art. 90 cod. pen., può essere presa in considerazione dal giudice ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, soprattutto in presenza di circostanze di natura ambientale e sociale che abbiano influito negativamente sullo sviluppo della personalità dell’agente. Tuttavia, LA GELOSIA, SE COLLOCATA NELL’AMBITO DI UN INGIUSTIFICATO AUTORITARISMO DERIVANTE DALLA PERSONALITÀ VIOLENTA DELL’IMPUTATO, DÀ DI PER SÉ RAGIONE DEL DINIEGO DELLE ATTENUANTI GENERICHE” (Cass. Sent. n. 28561/2022).