Palermo

Trentatrè anni fa l’omicidio di mio fratello, Beppe Montana

di Dario Montana – 28 luglio 2015

Estate 1985. Gli italiani fischiettavano per le strade gli ultimi successi della stagione: L’estate sta finendo dei Righeira e Ragazzi di oggi di Luis Miguel. Madonna conquistava i primi posti nelle classifiche delle hit parade mondiali. Pagando con una banconota da mille lire, si poteva acquistare il quotidiano e bere un caffè al bar.

Francesco Cossiga era stato eletto Presidente della Repubblica, succedendo all’amatissimo Sandro Pertini; il Presidente del Consiglio era l’onorevole Bettino Craxi, mentre Giulio Andreotti era ministro degli Esteri.
A Palermo si iniziava ad allestire l’aula bunker dell’Ucciardone, dove si sarebbe tenuto il primo maxiprocesso alla mafia: 456 imputati alla sbarra, tre gradi di giudizio e la sentenza, il 30 gennaio 1992, della Cassazione che sancirà

Dario Montana

l’esistenza di un’organizzazione criminale di stampo mafioso denominata “Cosa nostra”.

Fu nell’estate 1985 che i giudici Borsellino e Falcone furono mandati sull’Asinara per preparare l’istruttoria del maxi processo; un esilio per il quale lo Stato chiese loro le spese di vitto, alloggio e consumi delle utenze. Le loro figure dividevano l’opinione pubblica; se da un lato Falcone poteva dichiarare che i cittadini facevano “il tifo per noi”, dall’altro c’era chi si lamentava delle sirene spiegate delle auto della scorta, o etichettava i giudici come persone assettate di manie di protagonismo. Il Paese discuteva sull’esistenza o meno delle mafie, nonostante pochi mesi prima, il 2 aprile, si fosse consumata la strage di Pizzolungo, alla quale scampò il giudice Carlo Palermo ma nella quale morirono Barbara Rizzo e i suoi gemellini Salvatore e Giuseppe, di sei anni. Il 23 settembre di quello stesso anno, a Napoli sarebbe stato ucciso il giovane giornalista Giancarlo Siani.

A Palermo, nell’estate 1985 la mafia continuava a versare sangue innocente per le proprie strade. L’omicidio di mio fratello Beppe Montana si consumò il 28 luglio. Fu raggiunto alle spalle da diversi colpi di pistola – una Magnum 357 – mentre si trovava con la fidanzata a Porticello (frazione del comune di Santa Flavia), nei pressi del porto dove era ormeggiato il suo motoscafo. Il giorno dopo avrebbe dovuto iniziare le ferie. Una settimana prima, Beppe aveva condotto un’operazione che aveva portato all’arresto di otto persone appartenenti alla famiglia di Pino Greco detto Scarpuzzedda, che però riuscì a non essere sul luogo dell’operazione.

Il funerale di Beppe Montana coincise con il primo atto pubblico del neo eletto sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che avrebbe dato vita alla cosiddetta “primavera di Palermo”. In occasione del trigesimo dell’omicidio di Beppe, mio padre chiese la pubblicazione, a pagamento, nella rubrica dei necrologi, del seguente testo: “La famiglia con rabbioso rimpianto ricorda alla collettività il sacrificio di Beppe Montana – commissario di P.S. – rinnovando ogni disprezzo alla mafia e ai suoi anonimi sostenitori”.

Incredibilmente, l’impiegato del giornale La Sicilia gli rispose che sarebbe dovuto andare a chiedere alla direzione l’autorizzazione per la pubblicazione; al suo ritorno, affermò categoricamente a mio padre che il testo veniva respinto allo sportello su insindacabile disposizione del direttore, Mario Ciancio Sanfilippo. (Nella foto, il documento originale)

Nel 1994, durante un processo, il pentito di mafia Francesco Marino Mannoia (arrestato dallo stesso Montana pochi giorni prima dell’agguato di Porticello), dichiarò che per gli omicidi di Montana e Cassarà un ruolo fondamentale sarebbe stato svolto da una “talpa” della squadra mobile, un poliziotto corrotto appartenente alla stessa sezione Catturandi.
Per l’omicidio di Beppe Montana furono condannati all’ergastolo Totò Riina, Michele Greco, Francesco ed Antonio Madonia, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Raffaele e Domenico Ganci, Salvatore Buscemi, Giuseppe e Vincenzo Galatolo. Carcere a vita anche per l’esecutore materiale, Giuseppe Lucchese.

Redazione

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