TORINO (ITALPRESS) – In principio fu dimora nobiliare, poi ospedale militare, sede dell’Ambasciata di Francia presso i Savoia fino all’Unità d’Italia, luogo di rappresentanza dell’antica Cassa di Risparmio di Torino e, infine, ‘casa’ della Fondazione CRT: la grande bellezza del secentesco Palazzo Perrone di San Martino, considerato dagli studiosi un unicum nel panorama dell’architettura e delle arti figurative della città, si svela al pubblico grazie a un libro che ne ripercorre per la prima volta oltre 300 anni di storia.
Curato dall’Associazione culturale Amici di Bene per il trentennale della Fondazione CRT, pubblicato dall’Artistica di Savigliano in versione sia cartacea sia digitale, liberamente consultabile on line sul sito www.fondazionecrt.it insieme al tour virtuale 3D del Palazzo, il volume è frutto di due anni di minuziose ricerche negli archivi di istituzioni italiane ed estere da parte di un team di esperti e studiosi: Laura Facchin, Massimiliano Ferrario, Luca Mana e Attilio Offman. I loro autorevoli contributi scientifici, così come il suggestivo atlante iconografico di Pino Dell’Aquila, fanno piena luce su ogni dettaglio storico, artistico, architettonico del Palazzo, a partire dalle nuove scoperte sulle origini del casato dei Perrone di San Martino tra Ivrea e la Valle d’Aosta, grazie a una puntuale ricostruzione della genesi e dell’evoluzione dello stemma.
‘In occasione del proprio trentennale, Fondazione CRT offre un viaggio nella storia e nella bellezza di un palazzo-gioiello finora sconosciuto ai più – spiega il Presidente di Fondazione CRT Giovanni Quaglia -. La riscoperta di questo bene testimonia che la cultura è un patrimonio contemporaneo e vivo, da valorizzare nel presente e da trasmettere in eredità alla next generation, in una prospettiva di resilienza e di cittadinanza attiva per un nuovo rinascimento culturale’.
Situato nel cuore di Torino, in via XX Settembre 31, il Palazzo, di origini tardo secentesche, riplasmato nel XVIII secolo, fu acquistato dalla famiglia Perrone di San Martino nel 1707 e dalla Cassa di Risparmio di Torino nel 1883. L’impianto settecentesco fu trasformato e ampliato dall’ingegner Giovanni Chevalley, che salvò marmi, decorazioni e affreschi. Degni di nota sono il Salone d’Onore, lo scalone affrescato con l’Apoteosi della casata dei Perrone di San Martino, la balconata con vista sui simboli della città (il toro dorato e gli stemmi) e della laboriosità e del risparmio (l’arnia con le api e le spighe di grano). Dal 1991 è il cuore pulsante delle attività filantropiche della Fondazione CRT, terza in Italia per entità del patrimonio.
Spagnoli, allemani, francesi: alle origini del Palazzo attraversato dalla storia europea. Il Palazzo fu costruito negli ultimi decenni del Seicento ed acquisito dai Galliziano, casato appartenente al ceto mercantile in ascesa e di recente nobilitazione, che ne ebbe la proprietà dal 1690 al 1707.
L’edificio (conosciuto e citato già nella prima ‘Lonely planet’ torinese: ‘Nuova guida per la città di Torino’ di Derossi del 1781) fu oggetto di usi e impieghi lontani dalle aspirazioni signorili dei suoi primi proprietari, nella difficile congiuntura di fine Seicento-inizio Settecento. Lo Stato sabaudo, infatti, divenne teatro di scontri durante i conflitti internazionali della Guerra della Grande Alleanza e della Guerra di Successione Spagnola, durante la quale, su ordine diretto di Vittorio Amedeo II, i Galliziano dovettero cedere il Palazzo in affitto (per 2.250 lire ‘di Piemonte annuali’) per ospitare i rappresentanti diplomatici della corona francese, giunti a Torino dopo il trattato di alleanza stipulato con Luigi XIV. Abbandonata dagli ‘Imbasciatori di Francia’ la capitale sabauda nel 1704 – a seguito del ribaltamento di alleanze operato da Vittorio Amedeo II in occasione dei successivi, drammatici eventi militari che condussero all’assedio della città di Torino del 1706 – l’edificio divenne un improvvisato ospedale militare.
Da residenza dei Perrone, conti di San Martino, che l’acquistarono per 67.000 lire piemontesi ad Ambasciata di Francia fino all’Unità d’Italia. Nel 1707, meno di un anno dopo il felice esito dell’assedio francese alla città di Torino (1706), il Palazzo passò ai Perrone, conti di San Martino e baroni di Quart, antica famiglia eporediese. Il conte Carlo Filippo Perrone di San Martino acquistò la residenza per la cifra di 67.000 lire di Piemonte, e avviò una prima campagna di restauro e riplasmazione. Tuttavia, gli interventi più rilevanti che determinarono la fisionomia del Palazzo, elogiato dalla guidistica sette-ottocentesca, si dovettero a Carlo Francesco Baldassarre, diplomatico e poi ministro di Stato e reggente della Segreteria di Stato per gli Affari Esteri, su progetto dall’architetto Giovanni Battista Borra. Riccamente affrescato e arredato al suo interno, divenne uno dei più aggiornati ed eleganti palazzi torinesi, citato nelle guide come ‘superba architettura del Borra’ (Briolo, 1828). Nella prima metà dell’Ottocento e fino all’Unità d’Italia, oltre ad alloggiare la famiglia proprietaria all’interno della quale si distinse Ettore Perrone di San Martino, eroe della Prima Guerra d’Indipendenza, l’edificio fu sede dell’Ambasciata francese presso la corte sabauda. Qui abitò dal 1837 fino alla morte, nel 1840, la poetessa piemontese contessa Diodata Saluzzo-Roero.
Nel 1883 la dimora fu acquistata dalla Cassa di Risparmio di Torino, fondata nel 1827, allora in crescente espansione. Il Palazzo nella sua configurazione attuale è il frutto di una totale ricostruzione decisa nel 1929, quando, per mancanza di spazi, il Consiglio d’Amministrazione della Cassa di Risparmio decise l’acquisto del limitrofo settecentesco educandato, l’abbattimento di tutti gli edifici e la loro completa ricostruzione. Il progetto fu affidato all’ingegner Giovanni Chevalley, uno degli architetti più noti dell’epoca, che seguì l’edificazione del Palazzo cercando di riproporre i volumi e lo stile del precedente edificio in chiave eclettico-classicista. Della struttura originaria, ebbe cura di salvare i marmi e le decorazioni, così come gli affreschi delle sale che furono strappati, restaurati e rimontati nei nuovi ambienti decorati da stucchi neo rococò.
Il rinnovato Palazzo – per la cui realizzazione furono coinvolti numerosi professionisti e maestranze prevalentemente torinesi e piemontesi – fu inaugurato nell’ottobre del 1933 e si configurò come uno dei più impegnativi cantieri diretti dall’ingegner Chevalley che realizzò, probabilmente, l’ultimo autentico intervento eclettico-storicista della storia architettonica torinese. Richiamandosi alle linee classiciste di Palazzo Perrone, combinate con citazioni, sulla facciata, dal celebre prospetto juvarriano di Palazzo Madama, la fronte della nuova sede centrale della CRT s’impose per la sua severa monumentalità. Il richiamo alla fortunata stagione del rococò torinese fu riservato agli interni con funzioni di rappresentanza, lungo lo scalone e sul piano nobile, dove Chevalley volle recuperare e reimpiegare materiali originali nelle parti pittoriche e in stucco. Al piano terra, invece, il salone degli sportelli della CRT fu declinato privilegiando la funzionalità, con contenuti accenti Déco.
Il Palazzo fu la sede operativa della banca CRT fino alla metà degli anni Settanta. In seguito, ne ospitò i vertici fino all’inizio degli anni Duemila. Nel 2009, per conto del Fondo Core Nord Ovest, Palazzo Perrone di San Martino fu acquisito da REAM SGR S.p.A., di cui Fondazione CRT è azionista di riferimento.
Da trent’anni ‘casa’ della filantropia con la Fondazione CRT. Dal 1991 Palazzo Perrone è sede della Fondazione CRT che, in 30 anni di attività filantropica, ha supportato con oltre 2 miliardi di euro più di 40.000 progetti per l’arte, la ricerca, la formazione, il welfare, l’ambiente, l’innovazione in tutti i 1.280 Comuni del Piemonte e Valle d’Aosta. Inoltre, con un investimento di oltre 100 milioni di euro, la Fondazione CRT ha interamente riqualificato le OGR di Torino, ex Officine dei treni riconvertite in un centro di sperimentazione a vocazione internazionale con tre ‘anime’: l’arte e la cultura, la ricerca scientifica, tecnologica e industriale, il food. In aggiunta alle erogazioni, la Fondazione CRT sperimenta modalità di intervento ispirate alla logica della venture philanthropy e dell’impact investing, che guardano all’impatto sociale e ambientale attraverso progettualità sostenibili nel medio-lungo periodo, ed è attiva nelle principali reti internazionali della filantropia.
La sede della Fondazione CRT offre ancora oggi ai visitatori diversi gioielli artistici, in particolare le opere del pittore piemontese Michele Antonio Milocco. Sua la firma degli affreschi appena restaurati sulla volta dello scalone di via XX Settembre ‘Apoteosi dei Perrone di San Martino’, quelli sulla volta della sala del Consiglio di Amministrazione ‘Divinità dell’Olimpo’, sulla volta della sala della vicepresidenza ‘Diana ed Endimione’, mentre sulle pareti dello scalone è possibile ammirare ‘Apollo e Dafne’, ‘Amorini con arco e faretra’ e ‘Amorini con rami e corona di alloro’. Nell’accesso al Salone d’Onore, sempre del Milocco, figura il ‘Ratto di Proserpina’. Sul soffitto del ‘Salone degli sportelli’ spiccano ‘Decorazioni pittoriche con spighe’ opera di Luigi Rigorini e ‘Arnia con api’ di Emilio Musso, simboli della laboriosità e del risparmio. Notevoli gli stucchi con motivi a valva di conchiglia, festoni e testine, la specchiera del sec. XVIII, il paracamino con stemma dei Perrone di San Martino, le paraste e colonne rivestite in marmi policromi, il motivo floreale stilizzato del pavimento in commesso di marmi. E ancora, lo stemma Savoia fregiato dai collari degli ordini dei Santi Maurizio e Lazzaro e della Santissima Annunziata, lo stemma della Cassa di Risparmio di Torino, la testa di medusa.
Il libro ricostruisce infine alcune opere d’arte e mobilio che arredarono prima le sale di Palazzo Perrone e, successivamente, quelle del rinnovato Palazzo della CRT. È stato possibile rinvenire alcuni preziosi manufatti, certamente appartenuti alla casata dei conti di San Martino, pubblicati nel volume per la prima volta: dai servizi in porcellana di Meissen, probabilmente acquisiti durante la permanenza di Carlo Baldassarre Perrone a Dresda, agli arazzi secenteschi di produzione fiamminga, con rare Storie di Alessandro Magno.
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