Timido spiraglio nei negoziati, a Mariupol gli ucraini resistono
Definirlo uno spiraglio di pace è sicuramente esagerato ma dopo oltre due settimane di silenzio assoluto, la diplomazia ha ricominciato a parlarsi. Troppo poco per essere ottimisti, ma sempre meglio dell’incomunicabilità che ha caratterizzato tutto il mese di aprile. Le due parti non si sono incontrate ma hanno interloquito attraverso i media. Ad intervenire per primo, in mattinata, era stato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov: “Abbiamo consegnato all’Ucraina una bozza di documento con parole cristalline e aspettiamo la risposta”. La conferma è arrivata poco dopo da Kiev. Il più in vista fra i negoziatori, Mykhailo Podolyak, ha infatti ribadito la ricezione della proposta russa, “in particolare per quanto riguarda le garanzie di sicurezza. Le studieremo e trarremo le nostre conclusioni sia politiche che legali”.
La palla, almeno in parte, torna quindi ad analisti e diplomatici, anche se quel minimo di ottimismo scaturito dalle dichiarazioni dei rappresentanti di Russia e Ucraina si è presto volatilizzato, nel corso della giornata, per le notizie provenienti da Mariupol. Il nuovo appello di Mosca non ha sortito effetto: i soldati ucraini asserragliati nell’acciaieria non si sono arresi e hanno continuato a combattere. Con loro anche un numero imprecisato di civili – potrebbero essere quasi un migliaio – e forse è proprio per questo che l’esercito del Cremlino non ha ancora utilizzato quelle bombe pesanti tonnellate che distruggerebbero l’Azovstal e tutto ciò che si trova nei dintorni. Ma se la resistenza del battaglione ucraino dovesse perdurare, il rischio è che Mosca opti per la “soluzione finale” e per tutti coloro intrappolati nei cunicoli dello stabilimento, comprese donne e bambini, non ci sarebbe più scampo.
La preoccupazione, in ogni caso, non è solo per la popolazione che più o meno volontariamente si è nascosta nell’acciaieria: secondo il sindaco di Mariupol, Vadym Boychenko, nella città costiera vivrebbero ancora oltre 100 mila persone sul mezzo milione di residenti registrati prima della guerra. E’ a loro che la massima autorità politica ha rivolto un invito accorato: andatevene prima possibile, è stato l’appello scritto oggi e rilanciato dai social, “non abbiate paura di raggiungere Zaporizhzia, dove riceverete tutti gli aiuti necessari. L’aspetto prioritario è mettersi al sicuro”.
Il problema è che i corridoi umanitari funzionano a singhiozzo: in quello previsto oggi avrebbero dovuto lasciare la città oltre seimila civili a bordo di una novantina di autobus ma in realtà sono riusciti ad andarsene solo alcune centinaia.
Nel Donbass, infine, la potenza di fuoco utilizzata per sedare la resistenza ucraina sta incontrando numerose difficoltà. Nonostante l’aumento corposo del numero di soldati e l’utilizzo sconsiderato di artiglieria pesante, i progressi di Mosca sono finora limitati. La battaglia decisiva si giocherà qui. E con gli 800 milioni di dollari in forniture militari garantite dagli Stati Uniti, per Vladimir Putin la conquista della regione sud-orientale potrebbe rivelarsi più complessa del previsto.