Categories: cine-interviste

Temple of Music

di Massimo Arciresi

Temple of MusicTemple of Music

L’abbiamo incontrato sul suggestivo sfondo del Cortile Steri di Palermo lo scorso 9 luglio, nell’ambito dell’interessante festival SoleLuna (dove erano in mostra due suoi lavori), il regista britannico Julien Temple (foto di Rosy Giordano), autore del singolare e ormai mitico – per quel che attiene agli svaporati anni ’80 – musical Absolute Beginners, ma anche riconducibile, attraverso la sua opera, a un gruppo “maledetto” come i Sex Pistols, con e intorno ai quali ha costruito La grande truffa del R&R e Oscenità e furore, nonché realizzatore di pellicole più semplici come Le ragazze della Terra sono facili e Bullet. Oltre ad avere confezionato tanti videoclip della prima ora. A estate conclusa, proponiamo le fasi salienti di una piacevole chiacchierata con il cineasta.

 

Mr. Temple, cosa può dirci del suo documentario di stasera su Detroit?

«Sono molto curioso riguardo ai film sulle città. Racconto storie di culture particolari attraverso la musica; questa è la prima. Una città sorprendente, con così tante cose di straordinaria bellezza da scoprire, già sulle mappe o attraverso i suoi edifici. Dall’inizio alla fine questo film è stato un viaggio per comprendere le opportunità create da questo sistema.»

Il titolo però è triste: Requiem for Detroit?

«In realtà dovrebbe essere ¿Requiem for Detroit?, con un punto interrogativo all’inizio e uno alla fine, come si usa in spagnolo. L’idea è quella di porsi la domanda: stiamo assistendo alla fine di Detroit o all’inizio di una nuova Detroit?»

Nella sua carriera ha girato molti film, di finzione o documentari, strettamente legati alla musica. Secondo lei è possibile separare queste due arti?

«In generale, credo di privilegiare la musica. Ha portato qualcosa di più importante nella mia vita. Peraltro, mi piace molto il cinema muto!»

Che musica preferisce?

«Perlopiù, non ho preferenze specifiche…»

Mi ricordo il suo episodio, Rigoletto, nel film operistico collettivo Aria (1987)…

«Sì, era tratto da un’opera… Ho fatto un film da un’opera, in Australia (The Eternity Man, ndr), forse tra poco ne farò un altro, da una nuova opera inglese… Mi piace l’opera; quand’ero più giovane non l’avrei detto, ma è così! Mi piace ascoltare la musica che amano i miei figli. In Inghilterra, comunque, ascolto davvero ogni tipo di melodia. A volte sono i miei ragazzi che mi fanno cambiare idea sui miei gusti! (ride)»

Cosa ci può dire dei suoi prossimi progetti? La musica ci sarà?

«Sto preparando un dramma (penso che ci sarà poco spazio per la musica) su un ambasciatore inglese in Uzbekistan in periodo di guerra. Dovrebbero seguire una tragicommedia, un documentario su Londra, e qui la musica c’entrerà, un altro progetto ancora, sugli inglesi e la monarchia… Amo la musica, ma non sempre ce la puoi mettere.»

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