Teatro: Da padrona a serva, l’evoluzione della “Signorina Giulia”

 

Allo Stabile di Catania la tragedia di Strindberg, alchimia vincente tra l’indagine psicologica e la passione scabrosa strozzata dal bigottismo.

di Roberto Privitera

Allo Stabile di Catania la tragedia di Strindberg, alchimia vincente tra l’indagine psicologica e la passione scabrosa strozzata dal bigottismo.

La notte di mezza estate è l’ideale proscenio per i desideri, quelli che sfociano nelle manìe più passionali e perverse. Giulia è padrona, autoritaria ed all’apparenza mangiauomini. Vuole il suo servo, finisce per essere mercificata e con la lama di un coltello troppo vicina alla gola per evitare il suicidio.

La tragedia “stringberghiana” in scena al teatro catanese gode dell’interpretazione infaticabile dei tre interpreti. Valeria Solarino, Valter Malosti e la domestica Federica Fracassi sono mattatori anomali della scena, che conferiscono un ritmo tambureggiate ad un vento di passione che pervade il palco senza sosta, sin dalle prime battute, scandite da una musica troppo moderna, unica nota stonata e fuori luogo di un ottimo prodotto teatrale.

C’è un quadro a tinte scure, come nello stile nordico più tradizionale, a fare da “casa” alla vicenda. Luce fioca che illumina a malapena gradini sociali che finiscono per capovolgersi. Inferno ed apparente paradiso sono rappresentati da servo e padrona. I due diventano forse involontariamente intercambiabili. Si incrociano e chi sembrava una roccia viene sconvolto dalla passione. Di quelle taglienti all’inverosimile, che spingono a prospettare una vita comoda ed agiata trasformata in un’improvvisa avventura.

L’umile servo adesso comanda, impone, usa, sfrutta, calpestando l’animo ed i sentimenti di Giulia. Lei che adesso ama davvero, davanti al bivio di cambiare la sua vita (in bene o in meglio non si sa) non sa cosa fare. Inizia il viaggio nel suo passato, fatto di sofferenze, bambina prima e ragazza poi, mai davvero compresa ed amata.

E’ la figlia del conte, ma lo stesso padre non si vede mai ed appare come un deus ex machina autoritario che ha contribuito negli anni al logorio dell’animo della figlia. Vorrebbe una vita normale, adesso che la passione prima e l’amore dopo hanno varcato la soglia del suo spirito, ma chi l’ha conquistata gioca la carta della materialità per ottenere i suoi scopi.

Amare l’umile servo risulterebbe umiliante per lei, e costringerebbe lui a darsela a gambe levate. Al conflitto interiore che dilania Giulia fino al suicidio assiste l’altra domestica, metafora vivente del bigottismo imperante. La Chiesa, i dogmi, la Fede. Di quella che però alimenta dentro di sé i sogni più perversi, schiacciando l’amore di Giulia verso Giovanni stritolandone la protagonista femminile. L’umile oggetto del desiderio subisce un sortilegio perfettamente al passo coi tempi di cui è figlio, che lo trasforma in creatura inverosimilmente cinica, causa della trasformazione di Giulia da delirante e sensibilissima amante a triste suicida.