Amiche e amici del #Tanomattinale buon lunedì.
Al di là dell’indignazione, della rabbia e della retorica, che ahimè domani saranno già sparite, sull’orribile e macabro – ma non c’è aggettivo negativo che basta per qualificarlo – figlicidio con mancato femminicidio di Morazzone, nel Varesino, che oggi avrei voluto vedere in apertura in tutti i giornali e siti, una cosa si può dire forte e chiara, senza discussioni: si poteva evitare, sicuramente. Per quanti sforzi io faccia non riesco a capire in alcun modo, siamo in tanti, come al padre assassino, agli arresti domiciliari e con una fedina penale che ne faceva emergere tutta la pericolosità, acclarato consumatore di cocaina, sia stato nel provvedimento di separazione in corso con la moglie di trascorrere il primo dell’anno con il figlio. Non si può capire, in nessun modo, per nessun obiettivo di risocializzazione, non doveva essergli concesso. Solo parole, purtroppo, che non ci restituiranno il piccolo Daniele e che acuiscono dolore e rabbia per questa nuova, infinita e inaccettabile tragedia familiare, “Mi dispiace, perdonami papà”. Come racconta l’ANSA, sono state queste le parole scritte da Davide Paitoni, il 40enne arrestato per aver ucciso il figlio di 7 anni e aver tentato di ammazzare la ex moglie, sabato sera in provincia di Varese, in un biglietto lasciato sul cadavere del bimbo, oscenamente chiuso nell’armadio. L’uomo ha così confessato al genitore, presso il quale si trovava agli arresti domiciliari il suo gesto ed espresso “grande disprezzo” per la moglie, che poi ha tentato di uccidere. Dopo il delitto Paitoni è uscito di casa per recarsi a Gazzada Schianno, dove la ex moglie si trovava insieme ai genitori. L’ha attirata in strada con la scusa della riconsegna del figlio e l’ha aggredita colpendola con un coltello ferendola al viso, all’addome e alla schiena, per fortuna con esiti non letali. Nessuna denuncia diretta da parte della moglie su maltrattamenti cominciati qualche anno fa, ma in base ad alcune segnalazioni da parte di altri era stato aperto un codice rosso per Davide Paitoni, che dopo il figlicidio e il tentato omicidio della moglie si era rifugiato in un capanno di cacciatori, dove è stato circondato dai carabinieri. Dopo qualche minuto di trattativa, Paitoni è uscito brandendo il coltello e urlando, poi se lo è puntato alla gola minacciando di uccidersi ma i carabinieri sono riusciti a disarmarlo. Null’altro da aggiungere, se non un pensiero pieno di dolore e di tristezza al povero, innocente e incolpevole Daniele.
Mi turba moltissimo, facendo parte di quella generazione di palermitani per i quali non si è mai rimarginata la dolorosa ferita della sciagura aerea di Montagna Longa del 5 maggio 1972 nei pressi dell’aeroporto di Punta Raisi, la tesi contenuta in un libro del docente di Aerodinamica e dinamica dei fluidi dell’università di Palermo, Rosario Ardito Marretta secondo la quale una micro carica posta in un incavo dell’ala avrebbe potuto creare uno squarcio con perdita di carburante e relativo incendio. In sostanza, la caduta dell’aereo che portò alla morte 115 persone “fu causata da un sabotaggio” e da una micro-bomba della grandezza di un pacchetto di sigarette. Il libro di Marretta appena edito da Cambridge Scholars Publishing s’intitola “Unconventional Aeronautical Investigatory Methods. The Case of Alitalia Flight AZ 112”. Lo studioso ribalta le conclusioni cui giunsero i giudici nel processo che si concluse nell’84, che parlarono di errore umano: la responsabilità dell’accaduto fu attribuita ai piloti del volo Alitalia proveniente da Roma e schiantatosi a oltre 900 metri di quota contro Montagna Longa. Marretta, spiega l’ANSA, è arrivato a queste conclusioni dopo un lungo lavoro, commissionategli dall’Associazione parenti delle vittime di Montagna Longa, con prove di laboratorio e l’utilizzo di modelli matematici che mezzo secolo erano impensabili. “Non parlerei di ipotesi – dice con sicurezza Marretta – perché la probabilità di ciò che sostengo è talmente alta da superare quella che l’esame del Dna fornisce sull’identità di una persona”. E’ legittimo aspettarsi una riapertura dell’inchiesta a seguito di questa clamorosa tesi.
Una donna al Quirinale dopo Mattarella, è arrivata l’ora. E’ quanto si legge in un appello alle forze politiche firmato da Dacia Maraini, Edith Bruck, Liliana Cavani, Michela Murgia, Luciana Littizzetto, Silvia Avallone, Melania Mazzucco, Lia Levi, Andrèe Ruth Shammah, Mirella Serri, Stefania Auci, Sabina Guzzanti, Mariolina Coppola, Serena Dandini e Fiorella Mannoia. Molto bello il testo: “Tra poco sarete chiamati ad eleggere il Presidente della Repubblica, e crediamo sia giunto il momento di dare concretezza a quell’idea di parità di genere, così tanto condivisa e sostenuta dalle forze più democratiche e progressiste del nostro Paese. Vogliamo dirlo con chiarezza: è arrivato il tempo di eleggere una donna. Si parla di democrazia dei generi ma da questo punto di vista l’Italia è una democrazia largamente incompiuta, tanto più rispetto a paesi come Germania, Gran Bretagna, Austria, Belgio, Danimarca, Islanda, Norvegia, Finlandia. Eppure sappiamo che ci sono in Italia donne che per titoli, meriti, esperienza ed equilibrio possono benissimo rappresentare l’intera nazione al massimo livello. Non è questa la sede per fare un elenco di nomi ma molte donne hanno ottenuto stima, fiducia, ammirazione in tanti incarichi pubblici ricevuti, e ci rifiutiamo di pensare che queste donne non abbiano il carisma, le competenze, le capacità e l’autorevolezza per esprimere la più alta forma di rappresentanza e di riconoscimento. Questo è il punto. Non ci sono ragioni accettabili per rimandare ancora questa scelta. Ci rivolgiamo a voi, fate uno scatto. L’elezione di una donna alla Presidenza della Repubblica sarà la nostra, e la vostra, forza”. Sono assolutamente d’accordo, sarebbe una grande cosa per il nostro Paese scegliendo la figura giusta, anche fuori del Parlamento e anche tra le firmatarie. Ma sono pessimista sull’esito dell’appello.
Chiudo ancora con la cronaca nera: potrebbe esserci un regolamento di conti dietro l’omicidio avvenuto nel primo pomeriggio di ieri in una stradina interna di Camaro San Luigi popoloso quartiere di Messina. Dopo vari interrogatori dei carabinieri, un uomo con precedenti per spaccio di droga sarebbe stato condotto in caserma dai militari, sospettato si avere esploso i colpi di arma da fuoco che hanno raggiunto e ucciso Giovanni Portogallo, 31 anni, messinese, già noto alle forze dell’ordine. Raggiunto dagli spari anche un trentacinquenne che si trovava con lui e che è rimasto ferito. L’uomo è arrivato in codice rosso all’ospedale Piemonte per essere sottoposto alle cure sanitarie. Sulla dinamica della sparatoria sono ancora in corso accertamenti, non è chiaro se i due fossero su uno scooter o se lo stessero raggiungendo a piedi quando sono stati sparati diversi colpi contro di loro.
Per oggi è tutto, buona giornata
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