Amiche e amici del #Tanomattinale buon giorno.
Giornata strapiena, quella di ieri, di commemorazioni istituzionali e della società civile per il trentennale della Strage di Capaci. La verità vera non è ancora venuta alla luce e stiamo ancora aspettando che questo accada, anche per via D’Amelio, lo Stato lo deve non soltanto alla memoria di uomini straordinari e suo servitori eccezionali e martiri come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma anche e soprattutto ai tantissimi giovani che in tutta Italia onorano con passione ed entusiasmo il ricordo dei caduti nella lotta contro la mafia.
Mi piace molto, forse a quelli di voi che amano leggere velocemente non piacerà ma io lo faccio lo stesso, pubblicare per intero l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione dell’iniziativa dal titolo “La memoria di tutti. L’Italia, Palermo trent’anni dopo”, promossa dalla Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, che si è svolta al Foto Italico, alla presenza di alte cariche dello stato e di tanti ragazzi. Lo reputo un discorso altissimo e un documento molto importante da conservare nella mia rubrica in questa occasione di memoria storica così rilevante. Ecco il testo, dal sito Quirinale.it:
“Sono trascorsi trent’anni da quel terribile 23 maggio quando la vita della nostra Repubblica sembrò fermarsi come annientata dal dolore, dalla paura. Il silenzio assordante dopo l’inaudito boato rappresenta in maniera efficace il disorientamento che provò il Paese di fronte a quell’agguato senza precedenti, in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Del tutto al contrario di quanto avevano immaginato gli autori del vile attentato, allo smarrimento iniziale seguì l’immediata reazione delle Istituzioni democratiche. Il dolore e lo sgomento di quei giorni divennero la drammatica occasione per reagire al violento attacco sferrato dalla mafia; a quella ferocia la nostra democrazia si oppose con la forza degli strumenti dello Stato di diritto. Altrettanto significativa fu la risposta della società civile, che rifiutò di subire quella umiliazione e incoraggiò il lavoro degli investigatori contribuendo alla stagione del rinnovamento. Poc’anzi notavamo con il Presidente della Camera, che neanche questo la mafia aveva previsto. Come non aveva preventivato il movimento culturale che, a partire da quei giorni, ha animato il Paese, trasformando questa dolorosa ricorrenza in un’occasione di crescita continua per promuovere nuove forme di cittadinanza attiva. Per questo vorrei ringraziare, in particolare, Maria Falcone, che – con la Fondazione che presiede – si adopera affinché la memoria di Giovanni Falcone e del suo sacrificio non sollecitino soltanto un ricordo ma contribuiscano ad alimentare l’impegno per l’affermazione dello Stato di diritto anzitutto nella società civile. Nel 1992 Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vennero colpiti perché, con professionalità e determinazione, avevano inferto colpi durissimi alla mafia, con prospettive di ulteriori seguiti di grande efficacia, attraverso una rigorosa strategia investigativa capace di portarne allo scoperto l’organizzazione. La mafia li temeva per questo: perché capaci di dimostrare che non era imbattibile e che lo Stato era in grado di sconfiggerla attraverso la forza del diritto. Onorare oggi la memoria di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino vuol dire rinnovare quell’impegno, riproponendone il coraggio e la determinazione. L’impegno contro la criminalità non consente pause né distrazioni. Giovanni Falcone diceva che «l’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza». Agiva non in spregio del pericolo o alla ricerca di ostentate forme di eroismo bensì nella consapevolezza che l’unico percorso possibile fosse quello che offre il tenace perseguimento della legalità, attraverso cui si realizza il riscatto morale della società civile. La fermezza del suo operato nasceva dalla radicata convinzione che non vi fossero alternative al rispetto della legge, a qualunque costo, anche a quello della vita. Con la consapevolezza che in gioco fosse la dignità dei compiti rivestiti, delle funzioni attribuite e la propria personale dignità. Coltivava il coraggio contro la viltà, frutto della paura e della fragilità di fronte all’arroganza della mafia. Falcone non si abbandonò mai alla rassegnazione o all’indifferenza ma si fece guidare senza timore dalla “visione” che la sua Sicilia e l’intero nostro Paese si sarebbero liberati dalla proterva presenza della mafia. Questa “visione” gli conferiva la determinazione per perseguire con decisione le forme subdole e spietate attraverso le quali si manifesta l’illegalità mafiosa. Falcone era un grande magistrato e un uomo con un forte senso delle istituzioni. Non ebbe mai la tentazione di distinguere le due identità perché aveva ben chiaro che la funzione del magistrato rappresenta una delle maggiori espressioni della nostra democrazia e, in qualunque ruolo, ha sempre inteso contribuire, con competenza e serietà, all’affermazione dello Stato di diritto. La portata della sua eredità è resa evidente anche dalle modalità della celebrazione di oggi, attraverso la quale viene rinnovato l’impegno contro la mafia. Poco meno di tre settimane fa, qui a Palermo, presso l’aula-bunker, ha avuto luogo la sessione conclusiva della Conferenza dei Procuratori europei, dedicata alla commemorazione di Falcone. È stato un omaggio di alto significato perché fu il primo ad intuire e a credere nel coordinamento investigativo sia nazionale sia internazionale, quale strumento per far emergere i traffici illeciti che sostenevano economicamente le mafie. Insieme a Paolo Borsellino avviarono un metodo nuovo d’indagine, fondato sulla condivisione delle informazioni, sul lavoro di gruppo, sulla specializzazione dei ruoli; questo consentì di raggiungere risultati giudiziari inediti, ancorati ad attività istruttorie che poggiavano su una piena solidità probatoria. Le visioni d’avanguardia, lucidamente “profetiche”, di Falcone non furono sempre comprese; anzi in taluni casi vennero osteggiate anche da atteggiamenti diffusi nella stessa magistratura, che col tempo, superando errori, ha saputo farne patrimonio comune e valorizzarle. Anche l’ordinamento giudiziario è stato modificato per attribuire un maggior rilievo alle obiettive qualità professionali del magistrato rispetto al criterio della mera anzianità, non idoneo a rispondere alle esigenze dell’Ordine giudiziario. Le esperienze innovative di quegli anni si sono tradotte, all’indomani dei drammatici attentati, in leggi che hanno fatto assumere alla lotta contro la mafia un livello di incisività ed efficacia mai raggiunto fino ad allora. Con la determinazione di fare giustizia, facendo prevalere il diritto, ripristinandolo. Per consentire alle persone pienezza di libertà e maggiori opportunità di futuro contro la presenza delle mafie che ne ostacola e talvolta ne impedisce l’effettiva libertà. Da queste drammatiche esperienze si dovrebbe trarre un importante insegnamento per il futuro: evitare di adottare le misure necessarie soltanto quando si presentano condizioni di emergenza. È compito delle Istituzioni – di tutte le Istituzioni – prevedere e agire per tempo, senza dover attendere il verificarsi di eventi drammatici per essere costretti a intervenire. È questa consapevolezza che dovrebbe guidare costantemente l’azione delle Istituzioni per rendere onore alla memoria dei servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la tutela dei valori su cui si fonda la nostra Repubblica. Con la stessa consapevolezza stiamo affrontando una stagione difficile, dolorosa, segnata prima dalla pandemia e poi dalla guerra nel cuore d’Europa, che sta riproponendo quegli stessi orrori di cui l’Italia conserva ancora il ricordo e che mai avremmo immaginato che si ripresentassero nel nostro Continente. Ancora una volta sono in gioco valori fondanti della nostra convivenza. La violenza della prevaricazione pretende, nella nostra Europa, di sostituirsi alla forza del diritto. Con tragiche sofferenze per le popolazioni coinvolte e per quelle che, da remoto, patiranno le conseguenze del conflitto. Con grave pregiudizio per il sistema delle relazioni internazionali e per le prospettive di sviluppo delle condizioni dell’umanità. Il ripristino degli ordinamenti internazionali, anche in questo caso, è fare giustizia. Porre cioè la vita e la dignità delle persone al centro dell’azione della comunità internazionale. Raccogliere il testimone della “visione” di Giovanni Falcone significa affrontare con la stessa lucidità le prove dell’oggi, perché a prevalere sia – ovunque, in ogni dimensione – la causa della giustizia; al servizio della libertà e della democrazia”.
Guerra Russia-Ucraina giorno 90.
Tre mesi tre di una guerra che doveva durare secondo i disegni del Cremlino solo pochi giorni. E invece continua ad andare per le lunghe, con un’enormità di vittime e distruzione che sembra non volere finire.
Apro con una notizia molto importante che ha fatto scalpore anche se non può meravigliare nessuno, tradotta dall’inglese da Ukrainska Pravda, giornale online ucraino: “Kyrylo Budanov, capo della direzione principale dell’intelligence del ministero della Difesa ucraino, afferma che c’è stato un attentato alla vita del presidente russo Vladimir Putin dopo l’inizio della guerra contro l’Ucraina. (fonte: Kyrylo Budanov in un’intervista a Ukrainska Pravda). Dice: “C’è stato un tentativo di assassinare Putin… È stato persino attaccato, si dice, da rappresentanti del Caucaso, non molto tempo fa. Questa è un’informazione non pubblica. [Era un] tentativo assolutamente fallito, ma in realtà è successo… Sono passati circa 2 mesi. Ripeto, questo tentativo non ha avuto successo. Non c’è stata pubblicità su questo evento, ma ha avuto luogo”.
Altra notizia molto importante, sulla via di una auspicabile soluzione diplomatica, da Ukrinform news, agenzia di stampa ucraina: “Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, durante una conversazione online alla Casa ucraina di Davos, ha affermato che un incontro sulla fine della guerra Russia-Ucraina si terrà solo con Putin, perché solo lui prende tutte le decisioni in Russia. “Nessuna decisione viene presa senza di lui [Putin]. E dobbiamo essere chiaramente consapevoli di questo… E se stiamo parlando di una decisione specifica per porre fine alla guerra, allora questa decisione non verrà presa senza di lui, non ne faremo a meno un incontro con il presidente russo. E dopo quello che hanno fatto, si sa, non abbiamo una grande voglia di questi incontri, e non ci può e non deve esserci una grande voglia di incontrare i mediatori. Pertanto, in linea di principio, non accetto alcun incontro con chiunque della Federazione Russa, tranne il presidente della Federazione Russa. E solo se c’è una questione sul tavolo: quella sulla fine della guerra. Questo è tutto. Non c’è nient’altro di cui parlare”, ha detto Zelensky. Pressoché immediata la risposta russa, sull’agenia di stampa ufficiale Tass: “La disponibilità del presidente ucraino Vladimir Zelensky a incontrare solo il presidente russo Vladimir Putin per la continuazione del processo negoziale è un puro sforzo di pubbliche relazioni, ha detto in onda il primo vice dell’inviato russo alle Nazioni Unite Dmitry Polyansky in diretta con il canale TV Soloviev. “Questo è sicuramente un puro sforzo di pubbliche relazioni”, ha detto il diplomatico. “Le persone che non sono al corrente non capiscono che i colloqui al vertice devono essere preparati a fondo, e l’ordine del giorno deve essere concordato da entrambe le parti e alcune basi di esperti devono essere fatte entro quel momento, altrimenti non c’è bisogno di parlare”, ha notato. “Non siamo stati noi a bloccare i colloqui. Alcuni contatti sono in fase di attuazione e ci aspettiamo in un certo senso risposte dagli ucraini dalle proposte formulate qualche tempo fa”, ha aggiunto Polyansky”.
Sempre da Ukrainska Pravda: “Il militare russo Vadim Shishimarin, accusato di aver ucciso un civile nella regione di Sumy, è stato condannato all’ergastolo. La corte ha dichiarato prove contro Shishimarin e ha concluso che l’omicidio era premeditato. La Corte ha respinto le argomentazioni della difesa secondo cui l’occupante avrebbe eseguito l’ordine perché era stato impartito da un militare che non era il comandante di Shishimarin e che l’ordine era criminale. Il tribunale non ritiene sincero il rimorso dell’imputato. Shishimarin si è dichiarato colpevole di aver violato le leggi e i costumi di guerra. Questo crimine è internazionale e quindi particolarmente grave”. Aggiunge la Tass, agenzia di stampa ufficiale russa: “La difesa del militare russo Vadim Shishimarin ha già annunciato che intende fare appello. Shishimarin è il primo militare russo condannato da un tribunale ucraino dall’inizio dell’operazione militare speciale russa. In precedenza, la procuratrice generale ucraina Irina Venediktova ha affermato che Shishimarin è stato accusato di aver ucciso un civile nella regione di Sumy. Ha affermato che circa 13.000 casi sono stati aperti contro militari russi nel paese e 49 militari sono stati incriminati”. Intanto tutti i prigionieri dell’Azovstal detenuti nel Donetsk saranno processati. Ma “non si può discutere la possibilità di scambio” dell’oligarca Medvedchuk, che “non è un militare, con chi ha lasciato l’Azovstal”, dice il Cremlino
Da Ukrinform News: “Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky considera lo sblocco dei porti ucraini una questione strategica poiché il blocco della Russia potrebbe portare alla carenza di grano e petrolio in tutto il mondo. “È importante costruire un corridoio per 22 milioni di tonnellate di grano e petrolio. Altrimenti, ci sarà un deficit. Questa è la seconda fase dopo la crisi energetica dell’anno scorso provocata dalla Russia”, ha detto Zelensky, parlando al World Economic Forum di Davos. Il Presidente ha osservato che l’Ucraina potrebbe esportare 10 milioni di tonnellate di prodotti al mese, in particolare per ferrovia, attraverso paesi amici – Polonia e Stati baltici. “Potremmo migliorare l’esportazione di grano e petrolio, ma sbloccare i porti è d’obbligo”, ha detto Zelensky.
Altra apparente gaffe del capo della Casa Bianca, che invece, comincio a pensare, dice a rota libera quello che pensa. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, manda l’avvertimento a Pechino: gli Usa sono pronti a intervenire militarmente qualora la Cina intendesse prendere Taiwan con la forza. Da Tokyo, Biden ha mandato a Pechino il più duro monito sull’isola. “Sì, questo è l’impegno che abbiamo preso”, ha scandito il presidente Usa in risposta a una domanda su un possibile intervento militare diretto degli Usa per difendere Taiwan, al contrario di quanto sta avvenendo con l’Ucraina. “Siamo d’accordo con la politica dell’unica Cina, ma l’idea che possa essere presa con la forza, non è appropriata”, ha aggiunto il presidente Usa, che ha detto che Pechino sta “flirtando con il pericolo”. In base alla politica dell’unica Cina Washington riconosce (“acknowledge”) la posizione di Pechino secondo cui esiste una sola Cina e Taiwan è parte della Cina, ma senza il riconoscimento formale delle rivendicazioni di Pechino di sovranità sull’isola. Le parole di Biden hanno ancora una volta scosso lo staff della Casa Bianca, che si è affrettata a minimizzare le dichiarazioni del leader per la terza volta in meno di un anno. Il segretario americano alla Difesa, Lloyd Austin ha spiegato che il presidente si è limitato a ricordare l’impegno di Washington “a fornire a Taiwan le risorse per difendersi”. Alla cronista che gli chiedeva se gli Stati Uniti fossero quindi disposti a impiegare a favore di Taiwan più mezzi di quelli messi in campo per l’Ucraina, il capo del Pentagono ha spiegato che “ci sono piani altamente riservati, anche sull’Asia” e non è possibile fornire ulteriori dettagli. Gli Stati Uniti stanno “giocando con il fuoco”, ha avvertito l’Ufficio per gli affari di Taiwan del Consiglio di Stato cinese, dopo che il presidente americano.. Lo riporta l’agenzia ufficiale Xinhua. Gli Stati Uniti stanno “usando la ‘carta di Taiwan’ per contenere la Cina, e a loro volta verranno bruciati”, ha affermato Zhu Fenglian, portavoce del Consiglio, spesso descritto come il gabinetto cinese. Mala tempora currunt, dunque, anche in quella parte del mondo.
E’ tutto per oggi, anche troppo. Vedo e noto con un certo dispiacere che il gradimento per il mio mattinale va nettamente scemando, i numeri lo dicono con chiarezza. Di conseguenza si va esaurendo il mio desiderio di rendere pubblico questo mio consistente “esercizio professionale” quotidiano, lo faccio ancora per non deludere i “fedelissimi”. Ma so bene, è la legge dei social e non c’è nulla da fare, che la fine di questa rubrica, se dovessi decidere in questo senso, nel luogo dell’effimero in realtà non lascerà alcuna traccia. E dunque ci penso concretamente, il gioco non vale più la candela.
(le foto dal web)
Un pranzo domenicale in famiglia si è trasformato in una furibonda lite tra padre e…
Le immagini della Sicilia sbarcano a Times Square, nel cuore di New York. Il video,…
Un’èquipe multidisciplinare del Policlinico di Palermo ha portato a termine con successo un complesso intervento…
L’area della città metropolitana di Palermo è in forte crescita rispetto al resto del Paese.…
Il Natale è da sempre un simbolo di rinascita e rinnovamento, in cui si offre…
“Le teche, in uno spostamento metaforico saranno intese come i cassetti di un Secrétaire e,…