Smartphone in classe, è ora di fare un uso corretto della tecnologia

l dibattito sullo smartphone in classe, apertosi dopo che la ministra Valeria Fedeli ha incaricato una commissione di studio di elaborare linee guida per un utilizzo nella didattica, ha il merito di riportare al centro una questione fondamentale della nostra società: qual è il senso che stiamo dando alla tecnologia?

Il rischio del dibattito è di limitarsi alla dimensione strumentale. Se ci fermiamo alla questione “uso dello smartphone”, stiamo vedendo il mondo digitale con uno sguardo vecchio. Lo stiamo trattando alla stregua di un mezzo, come sono la tv, la radio, i giornali, e riduciamo la sfida all’uso più o meno opportuno dei dispositivi.

Il dispositivo che ci fa accedere a questa dimensione è il mezzo, e non ne esaurisce le caratteristiche. Ogni volta che usiamo i mezzi di comunicazione, facciamo una precisa azione, in un preciso momento. Internet, però, non è un mezzo, quanto piuttosto una dimensione in cui siamo inseriti, e nella quale entriamo in relazione con contenuti e altre persone.

Per la dimensione online le cose sono molto più complesse: le tecnologie digitali mobili hanno fatto sì che ormai tutti, quotidianamente, viviamo tra online e offline, tra acceso e spento, connesso e sconnesso, senza una vera soluzione di continuità.

L’online è parte della nostra vita di tutti i giorni. Finora, nel campo educativo (genitori, scuola, etc…) ci si è molto adagiati sull’offline: spegnere i dispositivi oppure usarli poco perché distraggono, fanno perdere tempo, nella convinzione che l’offline di per sé sia garanzia di qualità contro l’abuso delle tecnologie. In realtà, anche persone adulte e di alta cultura, quindi ben formate offline, compiono spesso errori gravi sul web.

Molto più che una questione di accensione e spegnimento

Dire che “occorre spegnere” non è un modo per nobilitare l’uso della tecnologia, è piuttosto una via per non affrontare il problema. La sfida educativa non è tanto sul come o quanto usiamo lo smartphone in classe, ma richiede domande più articolate: che vita viviamo connessi con gli altri e con ogni informazione? Che senso diamo ai contenuti che incontriamo, rilanciamo, commentiamo, rielaboriamo?

È molto di più che una questione di regole d’uso o di spegnimento dei dispositivi. Se l’azione del Ministero andrà in questa direzione, avrà finalmente fatto un passo non solo necessario ma urgente. Ci sono molti che in questi giorni sottolineano i problemi che ha la scuola prima della questione dello smartphone.

Il bisogno di educazione digitale è adesso, non fra dieci anni. E non è realistico lasciare l’onere solo ai genitori. La scuola è il luogo ideale per iniziare a sperimentare percorsi educativi che rendano più umana e ricca la vita iperconnessa.