Il palazzo di giustizia di Siracusa non è la sede adatta a garantire l’imparziale svolgimento del processo nei confronti del dirigente della polizia Pasquale Alongi, che ha denunciato un clima di connivenza tra alcuni avvocati (Pietro e Giuseppe Amara) impegnati anche nella politica locale, e certi pm siracusani (Musco, Campisi e Rossi). Lo ha deciso la Cassazione con un rarissimo verdetto di accoglimento della richiesta di un imputato di ottenere il trasferimento del suo processo invocando le norme sul «legittimo sospetto».
A carico di Alongi, la Procura di Siracusa ha aperto nove procedimenti tra il 2010 e il 2011, tutti trasferiti a Messina per intervento della Procura generale della Suprema Corte. Ora la Sesta sezione penale della Cassazione, è intervenuta a trasferire l’ennesimo processo ad Alongi ancora in corso a Siracusa dove ‘tuttò è contro di lui.
“Le piccole dimensioni degli uffici giudiziari di Siracusa – scrive la Cassazione nella sentenza 18647 depositata ieri – comporterebbero il necessario ‘incrocio dei vari soggetti coinvolti nel processo, con possibili riflessi negativi sulla serenità e correttezza del giudizio; come vi è stata una partecipazione di uno dei pm coinvolti nelle vicende ‘de quo’ al dibattimento, appare anche possibile che il sostituto Musco possa vedersi obbligato, per questioni di organico, a rappresentare l’accusa nel processo a carico di Alongi, pur ove questi è denunciante e testimone a suo carico.
Il dr.Musco infatti è sotto processo a Messina per concussione e Alongi è testimone dell’accusa.
Per la Cassazione, in questa situazione, “vi è un rischio di seri condizionamenti o, comunque, di una “immagine esterna di difficile sottrazione dell’organo giudicante a condizionamenti obiettivi dovuti alla particolare situazione ed in relazione allo specifico processo. Risultano quindi le straordinarie condizioni, non altrimenti eliminabili, che l’art. 45 cpp richiede per la remissione del processo ad altra sede da individuarsi nel tribunale di Messina”.
Tra gli atti depositati in Cassazione dalla difesa di Alongi – e che la Suprema Corte ritiene privi del rischio di «parzialità» dal momento che la pubblica accusa del processo di Siracusa non li ha contraddetti – si fa presente che un pentito di mafia (Blandino) «ha riferito di rapporti degli avvocati Amara con ambienti giudiziari di Siracusa che consentivano loro di conoscere con anticipo le misure cautelari a carico di personale della polizia e di vantare tali stesse misure quale successo personale, così lasciando intendere al collaboratore una loro capacità di condizionamento”.
Lo stesso collaboratore di giustizia ha riferito che gli Amara volevano danneggiare Alongi per la sua attività quando era dirigente del commissariato di Augusta e “anche nel suo caso avrebbero avuto conoscenza anticipata di procedimenti a suo carico”, e che Giuseppe Amara «vantava i suoi rapporti con la Procura di Siracusa utilizzandoli quale mezzo di pressione nel contesto della politica locale, cui partecipava attivamente”.
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