Nonostante il commissario per l’emergenza. Nonostante i buoni propositi. Nonostante tavoli tecnici, dissalatori e milioni stanziati. Dopo un anno di decreti, poteri speciali e annunci roboanti, la Sicilia si ritrova ancora più assetata di prima. Anzi, peggio.
L’allarme arriva dritto dai vertici istituzionali: il commissario straordinario per l’emergenza idrica, Nicola Dell’Acqua, lo dice senza mezzi termini: “La prossima estate sarà particolarmente dura”. E a guardare i numeri, non si fatica a credergli.
Il caso più drammatico è quello di Palermo, dove il 2025 rischia di essere l’anno più critico da decenni. Secondo i dati pubblicati l’11 aprile da Amap, che gestisce il servizio idrico in 48 comuni dell’area metropolitana (circa un milione di abitanti), in tre anni si è perso circa il 78% del volume lordo iniziale negli invasi: da 167,36 milioni di metri cubi del 2022 a soli 36,62 milioni nel 2025. Ancora più preoccupante il dato sulla riserva utile: da 147,09 a 16,35 milioni di metri cubi. Un tracollo.
A gennaio 2025 si partiva da circa 50 milioni, poi un timido recupero a marzo-aprile, ma si resta comunque ben sotto le soglie di sicurezza. Gli invasi – Piana degli Albanesi, Scanzano, Poma e Rosamarina – oggi coprono il 50% del fabbisogno idrico della città, ma molti sono sotto stress. Le sorgenti e i pozzi non bastano più. E se questo è l’andamento in bassa stagione, con l’arrivo dell’estate e il boom turistico – soprattutto ad Agrigento, Capitale italiana della cultura – la situazione rischia di collassare.
Il quadro complessivo siciliano è ancora più desolante. A livello regionale, secondo l’Autorità di Bacino, la disponibilità reale nei principali invasi “a uso promiscuo” è scesa sotto i 100 milioni di metri cubi. Un crollo dal -21% al -47% rispetto allo stesso periodo del 2024.
La Diga Garcia, che serve decine di comuni in tre province, è ai minimi storici. Ma anche dove l’acqua c’è, spesso viene buttata: è il caso della diga Trinità, svuotata da anni “per sicurezza sismica” – una misura che si è scoperta infondata solo lo scorso 10 marzo, dopo verifiche della Protezione Civile mai fatte prima. Centomila metri cubi d’acqua al giorno finiti a mare per mezzo secolo, mentre i campi restavano all’asciutto.
E poi c’è l’incredibile vicenda della diga di Pietrarossa, in provincia di Enna. L’idea nasce nel 1956. Il progetto esecutivo arriva nel 1983. I lavori iniziano, si fermano, riprendono, si bloccano per una frana, ripartono nel ’97, poi il cantiere viene sequestrato. Nel 2011 si parla di demolizione. Nel 2017 del rilancio. Inserita nel PNRR nel 2022, doveva essere pronta nel 2025. I lavori non sono mai partiti. Sessantanove anni di attesa per un’opera da completare al 95%.
Intanto, secondo il rapporto di Cittadinanzattiva, la dispersione idrica in Sicilia è del 42%. Quasi la metà dell’acqua immessa nella rete si perde per strada. E le famiglie pagano caro: 489 euro l’anno di media per le bollette.
Già oggi, in molti comuni, l’acqua è razionata. Un segnale d’allarme in pieno inverno, figuriamoci tra Pasqua e il Primo Maggio, quando i turisti riempiranno l’Isola. Basti ricordare le immagini virali dell’estate scorsa: B&B di lusso con i bidoni dell’acqua all’ingresso e cartelli in tre lingue con le istruzioni su “come lavarsi a pezzi”.
Nel frattempo, la politica annuncia, promette, rassicura. Il presidente della Regione Renato Schifani, a marzo, si era detto «fiducioso» dopo le piogge invernali. La Lega ha esaltato i 94 milioni stanziati dal ministro Salvini per sei opere “strategiche”. Ma i dati, impietosi, raccontano un’altra storia.
Una storia di grandi opere incompiute, invasi mai collaudati, fondi dirottati, manutenzioni fantasma, burocrazie bloccanti. La verità è che il sistema idrico siciliano fa acqua da tutte le parti.
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