Alla fine, lo scenario mozzafiato di Taormina, uno dei più suggestivi della storia del G7, non è servito a conciliare le divergenze tra i leader del vertice, differentemente da quanto auspicato l’altroieri da Gentiloni. O se ci è riuscito, l’ha fatto solo parzialmente.
Commercio
La maggiore intesa è stata raggiunta sulle politiche commerciali globali, dove la posizione statunitense ha ceduto sulla lotta al protezionismo. Una vittoria diplomatica di tedeschi e francesi, niente affatto scontata viste le dure opinioni dell’amministrazione Trump sul tema. Unica concessione a Washington, la dichiarazione d’impegno contro tutte “le pratiche commerciali scorrette”.
Clima e immigrazione
Sugli altri versanti, però, la linea del presidente americano ha prevalso. Il documento finale del summit prende atto delle posizioni divergenti sul tema delle riduzioni delle emissioni di CO2, mentre riguardo l’immigrazione,anche per via della posizione di May e Abe. il testo è molto netto: viene riaffermato “il diritto sovrano degli Stati, individualmente e collettivamente, a controllare i loro confini e a stabilire politiche nel loro interesse nazionale e per la sicurezza nazionale”. Qui Merkel e Gentiloni non sono riusciti a far breccia sul muro americano.
Più ombre che luci
Nemmeno riguardo i rapporti con la Russia, il grande assente di questo vertice, si sono raggiunti significativi risultati. Addirittura si è prospettato l’inasprimento delle sanzioni in caso di mancato rispetto degli accordi di Minsk. In generale, il G7 di Taormina ha sancito la nuova frattura globale tra “sovranisti” e “globalisti”, una divisione che corre lungo l’atlantico; anzi, a scanso di sorprese nelle prossime elezioni britanniche, già lungo la Manica. A unire davvero i Grandi del mondo resta solo il terrorismo, ma non potrebbe essere altrimenti.
Due giorni che verranno ricordati, dai leader presenti a Taormina, più per il fascino della location e per il successo organizzativo che per una reale svolta nella politica internazionale.
Pietro Figuera
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