Sequestrata La Sicilia di Catania insieme a tutto il gruppo editoriale appartenente all’imprenditore catanese Mario Ciancio Sanfilippo, la decisione che risale allo scorso 20 settembre è stata presa dal Tribunale di Catania presso il quale l’editore è attualmente sotto processo per concorso esterno all’associazione mafiosa.
Sequestro e confisca quindi dell’intero gruppo editoriale che fa capo all’editore tra cui il quotidiano ‘La Sicilia’, la maggioranza delle quote della ‘Gazzetta del Mezzogiorno’ di Bari e due emittenti televisive regionali, ‘Antenna Sicilia’ e ‘Telecolor’.
Sono stati sequestrati oltre 150 milioni di euro tra conti correnti, polizze assicurative, 31 società, beni immobili e quote partecipative di altre sette aziende.
I giudici sono andati anche oltre le richieste dei pubblici ministeri, che non avevano chiesto il sequestro del giornale catanese, pur ravvisando delle irregolarità nei bilanci. Il Tribunale ha comunque nominato degli amministratori giudiziari per garantire la continuazione dell’attività del gruppo.
Alla base dei motivi della misura adottata, secondo la ricostruzione della procura diretta da Carmelo Zuccaro, ci relazioni da approfondire, oltreché rapporti poco chiari con la pubblica amministrazione e soprattutto canali finanziari per niente trasparenti.
Sul fatto si è pronunciato il Presidente della commissione regionale antimafia, Claudio Fava, che in una nota ha dichiarato: “Il sequestro del quotidiano “La Sicilia” nei confronti di Mario Ciancio diventi occasione per ribaltare la storia opaca di quel giornale e della sua direzione. Se vi sarà confisca, si affidi la testata ai giornalisti siciliani che in questi anni hanno cercato e raccontato le verità sulle collusioni e le protezioni del potere mafioso al prezzo della propria emarginazione professionale, del rischio, della solitudine.”
“Togliere non basta – prosegue il parlamentare, che aggiunge: “occorre restituire ai siciliani il diritto a un’informazione libera, autonoma, coraggiosa. Lo pretende anche il rispetto dovuto ai tanti, troppi colleghi uccisi dalla mafia e dai suoi innominabili protettori per aver difeso quel diritto contro ogni conformismo”.
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