di Barbara Giangravè
Sto per contravvenire a una delle regole d’oro per un giornalista: mai scrivere di un fatto che ci riguarda in prima persona. È stato uno dei miei vecchi direttori a insegnarmelo, dopo che ho commesso il grosso errore di scrivere di un “attacchinaggio” notturno del Comitato Addiopizzo, nel lontano 2004: peccato che, allora, tra gli “attacchini” ci fossi anch’io e che con loro sarei rimasta fino al 2008.
Che l’attacco del mio pezzo sia proprio questo e non un altro è dovuto anche ad Addiopizzo, perchè è stato all’interno del Comitato che ho conosciuto Gero Cordaro, il fotografo autore dello scatto che pubblichiamo a corredo di questo resoconto.
Gero mi raccontò la sua storia, la storia di Lia, proprio in quegli anni.
Rosalia Pipitone, la sua defunta moglie, era la figlia del boss dell’Acquasanta, Antonino Pipitone. Il 23 settembre del 1983 fu uccisa a seguito di una finta rapina avvenuta in una farmacia. Quella sera, Lia non lasciò solo Gero, ma anche Alessio: il loro bambino di 4 anni.
Più di 27 anni dopo da allora, un messaggio nella posta privata del profilo di facebook di Alessio ha riaperto la partita: “Ciao. Non ci conosciamo. Sono Salvo Palazzolo, giornalista di Repubblica. Mi sono imbattuto in una storia che riguarda una persona a te cara che, purtroppo, non c’è più. Non so molto di lei, tranne che era una giovane madre e che voleva vivere la sua vita. Ma era la figlia di un mafioso. E credo di aver capito che non voleva più esserlo. Però, nessuno a Palermo ricorda Rosalia Pipitone. P.S. Ho notato che abbiamo un’amica in comune…“.
L’amica in comune è colei che scrive e che, con sua somma sorpresa, è stata incaricata di fare da moderatrice alla prima presentazione di “Se muoio, sopravvivimi“, scritto a quattro mani da Alessio Cordaro e Salvo Palazzolo, che ieri sera, alla libreria Feltrinelli di Palermo – insieme all’avvocato Nino Caleca, al magistrato Antonio Ingroia e all’attrice Preziosa Salatino (che dirige il Teatro Atlante e che ha letto alcuni brani del testo) – hanno raccontato, a loro volta, la storia di Lia ai numerosissimi lettori intervenuti.
Lia uccisa per aver disonorato la sua famiglia, Lia accusata di avere un amante. Un giovane, Simone Di Trapani, che il giorno dopo la morte di Lia, “fu suicidato“. Oggi, dopo 29 anni, Simone ha una nipote che porta il suo nome e che, ieri sera, alla libreria Feltrinelli, prima che cominciasse la presentazione del libro, si è diretta – spedita – verso Alessio Cordaro e gli ha detto: “Sono qui in rappresentanza della mia famiglia. Volevo conoscerti e, soprattutto, ci tenevo a farti sapere che sono presente in mezzo al pubblico“.
Pubblico da grandi occasioni, che ha seguito in religioso silenzio ogni intervento e che ha scandito il passaggio dall’uno agli altri con fragorosi applausi.
Salvo Palazzolo ha spiegato perchè, ai tempi di internet e del giornalismo mordi e fuggi, ha voluto scavare tra i dettagli di un episodio di cronaca datato 1983.
Alessio Cordaro ha rivelato i motivi che lo hanno spinto a parlare pubblicamente, per la prima volta in vita sua, di sua madre e della sua morte.
L’avvocato Caleca ha ammesso che altri casi, analoghi a quello di Lia, affollano la storia di questa città e ha spinto altri familiari di vittime di mafia non riconosciute tali (come Lia) a fare un passo avanti. Come Alessio e suo padre Gero.
Il giudice Antonio Ingroia, in partenza per il Guatemala, ha smorzato i toni su “la città che dimentica in fretta e che, forse, farebbe bene a dimenticare anche me“, salvo poi ribadire – con forza – che la Procura di Palermo ha riaperto il processo sull’omicidio di Rosalia Pipitone e che il suo obiettivo dichiarato è quello di rendere finalmente giustizia a questa piccola, grande donna.
Io, nel mio piccolo senza alcuna grandezza, ci tenevo solo a farvi sapere – proprio come la nipote di Simone Di Trapani – che ho avuto l’onore e il piacere di vedere una Palermo commossa proprio di fronte a me. E credo che questo sia stato il primo passo per rendere a Lia quella giustizia che le è stata negata per 29 lunghissimi anni.
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