Abbandoni alle superiori, in Sicilia e Sardegna è allarme rosso: non arrivano al diploma oltre il 35% di studenti
Le province più a rischio dispersione sono Caltanissetta (con quasi il 42%), Palermo e Catania. Nella poco invidiabile “top ten” di allievi che lasciano dopo essersi iscritti al primo superiore anche Ragusa, Sassari, Cagliari e Oristano.
Tuttoscuola: le Isole, rispetto a tutte le altre aree del Paese costituiscono il ‘ventre molle’ della situazione sugli studenti dispersi.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): dobbiamo evitare che il gap aumenti, la scuola potrebbe fare molto. Occorrono però più risorse, un migliore orientamento, attuare l’obbligo formativo fino a 18 anni, una vera riforma dell’apprendistato, organici maggiorati per le aree a rischio e investimenti strutturali mirati.
Se in questi giorni mezzo milione di studenti sta concludendo la maturità, ve ne sono altri 167mila di cui la scuola italiana ha perso le tracce: cinque anni fa si sono iscritti ad un corso di studi superiore, ma poi hanno abbandonato i banchi. E solo 40mila hanno continuato gli studi fuori dalla scuola statale o hanno trovato lavoro. La percentuale di gran lunga maggiore di questi ragazzi, senza diploma e con un futuro a rischio, risiede nelle Isole: nella “top ten” delle province per più alta dispersione di alunni, ai primi quattro posti ci sono località della Sicilia; ed alta è anche la rappresentanza della Sardegna con tre capoluoghi.
Se si confrontano i dati per provincia dell’anno scolastico 2013/14, a Caltanissetta hanno abbandonato rispetto agli iscritti del 2009-10 il 41,7% degli studenti, a Palermo il 40,1%, a Catania il 38,6% e a Prato il 38,5% (con il dato “falsato” dall’altissima presenza di alunni cinesi). Seguono Ragusa con il 37,1%, Sassari con il 36,7% e Cagliari con il 36,5%. Chiudono Asti, con il 36,3% di studenti che non arrivano al diploma di maturità, Napoli (36,1%) e Oristano (35,4%). E la graduatoria prosegue con un’altra città della Sardegna: Nuoro.
Le stime, fornite dalla rivista Tuttoscuola attraverso un ampio dossier, indicano che per le Isole maggiori italiane una situazione da allarme rosso. Al Nord-Est la media di abbandoni è del 24,5%, con quasi 23mila studenti dispersi nel corso del quinquennio 2009-10/2013-14, al Nord-Ovest si attesta al 29,1%, con oltre 39mila abbandoni nel corso dell’ultimo quinquennio, al Centro scende al 24,8%, con circa 28mila studenti che hanno lasciato prematuramente. Anche il Sud (grazie soprattutto a Molise e Basilicata) riesce ad essere in linea con le altre Regioni, con 47.674 studenti persi (tasso medio di dispersione del 27,5%).
Nelle Isole, invece, le percentuali assumono proporzioni preoccupanti: la regione italiana che nel quinquennio 2009/2014 ha in assoluto perso più studenti della scuola secondaria superiore è stata la Sardegna: 6.903 allievi pari al 36,2%. Al secondo posto, in rapporto al numero di iscritti, c’è la Sicilia, con 22.054 studenti non arrivati al diploma (35,2%). Segue la Campania, dove nello stesso periodo hanno lasciato i banchi di scuola 24.262 iscritti, pari al 31,6%. “Le Isole, rispetto a tutte le altre aree del Paese, – spiega Tuttoscuola – costituiscono il ‘ventre molle’ della situazione sugli studenti dispersi”.
A fronte di questi dati, Anief ritiene che sia indispensabile adottare una serie di interventi urgenti per evitare che il gap rispetto ad alcune aree del Paese divenga insopportabile: bisogna prima di tutto tornare ad investire sull’istruzione, incrementando la spesa complessiva rispetto al Pil; attuare una riforma dei cicli, anticipando l’avvio della primaria, quando gli alunni hanno ancora 5 anni anziché 6, ed estendendo l’obbligo scolastico dagli attuali 16 fino ai 18 anni di età. Ma servono anche investimenti strutturali mirati: basta ricordare quanto è accaduto in Sicilia nel 2012, dove la mancanza di risorse e di mense scolastiche ha fatto sì che il tempo pieno nella scuola primaria è stato attivato solo per il 3% degli alunni. Mentre in Lombardia era presente nel 90% delle scuole primarie.
“Il nostro sindacato – dice Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – ha denunciato da tempo la necessità di stanziare una quantità di fondi maggiore per l’orientamento scolastico, la cui mancata efficacia è alla base dell’alto numero di abbandoni scolastici. Per risollevare il Meridione, in particolare le Isole, servirebbero degli organici di personale scolastico maggiorati: il calo demografico degli ultimi anni, invece, ha determinato il processo inverso”.
I dati parlano da soli: nel quinquennio 2007-2012 le amministrazioni comunali del Sud hanno riservato all’istruzione meno risorse (-13%), mentre per gli stessi capitoli di spesa i Comuni delle Regioni centrali e del Nord hanno rispettivamente la spesa del 4% e dell’8%. Abbiamo poi assistito alla riduzione di insegnanti che operano nelle stesse aree del Paese: per il prossimo anno scolastico, infatti, il Miur ha previsto la cancellazione di 14 cattedre in Abruzzo, 58 in Basilicata, 183 in Calabria, 387 in Campania, 33 in Molise, 340 in Puglia, 27 in Sardegna. La riduzione non risparmia l’area dell’handicap: negli ultimi anni il numero di docenti di sostegno che operano nel Meridione si è ridotto sensibilmente, con la sparizione di oltre 4mila posti di cui 2.275 solo in Sicilia e 900 in Campania.
È inevitabile, stando così le cose, che chi è più indietro si attarderà sempre più: anche le ultime le ultime ricerche nazionali indicano che la scuola non funge più da ascensore sociale, come indicato anche nella nostra Costituzione: oggi un figlio di una famiglia di operai è dieci volte più facile che abbandoni la scuola prematuramente rispetto al figlio di laureati.
“Per superare questa ingiustizia – continua Pacifico – la scuola potrebbe fare molto: servirebbe, ad esempio, attuare una vera riforma dell’apprendistato. Che abbia un’impronta diversa da quella varata di recente, puntando al potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro, che dovrebbe diventare programma formativo in tutte le classi del triennio finale delle scuole superiori italiane. Ma bisognerebbe anche rendere stabile il rapporto della scuola con il mondo del lavoro. Per realizzare quello che in altri Paesi, come la Germania, è già prassi: fornire ai nostri giovani quelle competenze minime professionali che le aziende richiedono quando assumono un giovane. Il ‘cerchio’ si chiuderebbe creando anche dei centri dell’impiego finalmente in grado di intercettare le richieste del mercato del lavoro. E di comunicare – conclude il sindacalista Anief-Confedir – i dati direttamente ai centri formativi”.
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