L’OMS (Organizzazione Mondiale Sanità) afferma che “Non c’è salute senza salute mentale”. E in questi anni abbiamo imparato a dare ascolto all’OMS che già sul COVID c’aveva visto lungo anche se prima di quel momento molti di noi ignoravano la sua esistenza.
Settembre è il mese della prevenzione dal suicidio ma seppur i numeri di queste morti violente salgono, ci ritroviamo in un’Italia che sempre meno ha a cuore quella che i latini avevano già individuato mella massima “mens sana in corpore sano”.
Ma si sa, chi ci governa ha sempre altre priorità e poi lo stigma che ruota attorno alla salute mentale, la psicoterapia, gli psicofarmaci e le figure competenti non sono altro che dei catalizzatori verso un disinteresse comune che porta l’Italia all’omertà a cui è abituata: “Se non ne parlo non esiste”.
Eppure i giovani muoiono, ed anche i meno giovani e le persone di ogni genere, età ed etnia. Mediamente 10 persone al giorno, nel nostro paese, si suicidano. Vittime diverse di un comune destino, motivi diversi che portano a modalità diverse per porre fine ad
una vita che non è più vita. L’essere umano è un animale sociale e, come tale, ha dentro sé l’istinto a sopravvivere, ovvero a continuare a vivere, ed è paradossale come per tutte queste persone morire sia il modo migliore per “vivere”.
Perché morire significa smettere di soffrire e nell’assenza di sofferenza c’è la forma più sublime di sopravvivenza da sempre ricercata da ogni essere vivente. Ma nessuno ne parla e nessuno si rende conto del problema dell’universitaria che si toglie la vita nei bagni del campus perché non riesce a sostenere gli esami nei ritmi prestabiliti.
O del ragazzo bullizzato che preferisce morire adolescente che continuare a vivere in quel modo o del trentenne palermitano che spaventato della vita, dalla piega che la società sta prendendo, ha avuto paura del futuro in quanto amava un altro uomo e non reggendo l’ansia dell’attesa ha preferito morire per mano sua (prima che qualche baby gang lo aggredisse in pieno centro perché magari stava dando la mano al suo compagno).
Perché se per deboli vogliamo condannare le anime sensibili di chi trova soluzione nella morte, non possiamo girarci, però, dall’altra parte davanti all’ evidenza di un sistema di aiuto mancante. Davanti a psicoterapie private sempre più costose, sanità pubblica al collasso e spesso priva di tatto, un bonus psicologo con i fondi tagliati per non parlare della mancata cultura al benessere psicologico che dallo Stato ai social media ci viene propinato. E persino nelle scuole che forma robot indottrinati e non esseri umani.
Lo sport come risposta alla malattia mentale o, come dice qualche influencer , il “bonus chirurgo estetico per eliminare le insicurezze”. E chi soffre sta lì, in un angolo. Sentendosi perennemente sbagliato e solo. Non sapendo dove andare, a chi rivolgersi, sballottato da uno psicologo all’altro (per chi può permetterselo) perché puntualmente non è mai quello giusto, cambiando farmaci mai azzeccati con la consapevolezza che ogni volta che entrerà in farmacia verrà guardato come un tossico di crack.
Nessuno sa parlare di quanto si sta male quando si cambia farmaci, dell’ ansia ad uscire di casa, dell’ ansia a mangiare, della paura del buio, dei rumori, l’insonnia… Perché se combatti un tumore sei il più grande degli eroi ma la depressione, certo, seconda causa di morte al mondo, è solo il capriccio e la mancanza di volontà di persone deboli ed inadatte alla vita.
Da questo nasce la paura ad esporsi e parlarne, la paura di affrontare il problema perché sai che ti rimarrà addosso per sempre quel termine così tanto desueto (ai livelli dell’infelice “handicappato”) di “pazzo”. Basta leggere Pirandello, però, per capire che la pazzia che gli altri ci attribuiscono, ovvero divergere dalla massa che provoca sofferenza, non è altro che il mezzo attraverso il quale scoprire la verità di se stessi. E che le persone che soffrono di una qualche patologia psichiatrica sono fonti di ricchezza preziosa per la nostra Italia che di sensibilità e valori umani ne è piuttosto sprovvista.
Che davanti alla “cultura del successo” e dell’andare a tre mila all’ora ha bisogno di qualcuno che ci rassicuri che è bello essere mediocri con punte di eccezionalità. Che è vero che non performare può fare stare male ma capire che essere se stessi nei propri tempi è una grande fortuna.
Il 10 ottobre a Palermo, promossa dalla fondazione Tommaso Dragotto (in collaborazione con il progetto Itaca), vi sarà un’intera giornata dedicata alla salute mentale. Convegni, danza, reading, proiezioni, luci d’artista, lyrical gala e tanto altro con ingressi liberi e gratuiti.
L’opportunità di gettare una luce su un tema spesso troppo dimenticato coinvolgendo la cittadina, affinché se ne possa parlare, affinché qualcosa cambi. Anche se il cambiamento potrebbe partire da noi, potrebbe partire da una semplice domanda: “Come stai?”
Maria Lucrezia Rallo
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