Luca viene licenziato per aver prelevato uno snack dall’espositore, adiacente alla cassa dove operava, e per averlo mangiato senza pagarne il corrispettivo (pari a 0,70 euro).  Ma il licenziamento risulta sproporzionato: difatti, “nella verifica della giusta causa occorreva avere riguardo non all’assenza o speciale esiguità del danno arrecato al datore di lavoro ma alla qualità del singolo rapporto intercorso ed al grado di affidamento che quel rapporto implicava verificando se la mancanza ascritta”.


I Giudici della Corte di Cassazione ribadiscono che “in questa prospettiva è stata ritenuta insufficiente l’indagine limitata alla verifica della riconducibilità del fatto addebitato alle disposizioni della contrattazione collettiva che consentono l’irrogazione del licenziamento, essendo sempre necessario valutare in concreto se il comportamento tenuto, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la prosecuzione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, con particolare attenzione alla condotta del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti e a conformarsi ai canoni di buona fede e correttezza.

Le previsioni dei contratti collettivi hanno, infatti, valenza esemplificativa e non precludono l’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità delle specifiche condotte a compromettere il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore, con il solo limite, nello specifico insussistente, che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione” (Cass. Ord. 17288/2022).