Nella giornata di ieri, dopo le estenuanti trattative locali e nazionali, Franco Miceli, candidato Sindaco per le prossime elezioni amministrative palermitane, è stato protagonista della sua prima uscita pubblica.
Da quel palco, utilizzate a mo’ di slogan, sono riecheggiate le contraddizioni della sua candidatura. Proprio lui, oggetto di accordi politici locali e che è volato a Roma per avere il consenso dei segretari nazionali dei partiti che rappresenta, ha preso le distanze da quei partiti asserendo che è arrivato il momento di far cessare gli accordi di potere, giacché i suoi sono già stati raggiunti, e che è necessario dare priorità alle competenze anche se, è più che mai evidente, che si stanno conformando liste di appoggio che contengono i soliti noti, quelli stessi che oggi siedono sugli scranni di Palazzo delle Aquile e ai quali si deve la tragica situazione di Palermo. Critica il “balletto della politica” cercando di far dimenticare che, proprio lui, è stato un primo ballerino nelle scorse settimane. Critica il “governo di potere” quando lo rappresenta in toto, come ha dimostrato con i suoi incontri proprio nei “palazzi del potere”.
Amore per la città? Amare Palermo significa, innanzitutto, non andarsene mentre lui, lo ricordiamo bene, dopo aver abbandonato manifestazioni, scioperi, occupazioni, ciclostile e volantinaggi ha deciso che un architetto non avrebbe avuto futuro a Palermo e se n’è andato, (in)tanto il partito e il sindacato continuavano ad essere con lui.
Grande assente nelle parole di Miceli, se escludiamo una boutade nella parte introduttiva del suo discorso, è stata la necessità di una forte partecipazione femminile al governo della città non tanto per un problema di “quote rosa” o di “genere”, ma per necessità di una sensibilità più ampia e trasversale.
Ha annunciato, tra le altre, l’avvio di una fase di definizione del programma distante dalla demagogia e che si baserà sulla parola “partecipazione”, dimostrazione che ancora oggi non ha la minima idea di quali interventi servano per la città ma, e soprattutto, per le palermitane e i palermitani.
I problemi della città sono stati da lui utilizzati come slogan e c’è il rischio che, ancora una volta, diventino demagogia, quella demagogia che dichiara di voler rifuggire. In alcuni tratti del suo intervento, peraltro, è riecheggiato uno degli slogan di un politico democristiano dei tempi che furono che asseriva “Palermo ha bisogno dell’Europa e l’Europa ha bisogno di Palermo”. Ha parlato di un “motore” necessario ma, purtroppo, ha dimenticato che un motore va alimentato e, dalle sue parole, non è stato menzionato nessun sistema adeguato.
Ambiente, trasporto e servizi pubblici, nelle sue parole, risuonano come obiettivi impossibili proprio per la scollatura che ha dimostrato esserci tra lui e la città, tra lui, le palermitane e i palermitani.
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