Riceviamo e pubblichiamo. Domani primo maggio ricorre il 65° Anniversario della Strage di Portella della Ginestra

Giuseppe Mazzola, autore del testo ‘Montelepre tra Separatismo ed Occidentalismo’ ritiene che ormai sia arrivato il momento di dire una ‘verità’ diversa sulla strage di Portella delle Ginestre. Analiz…

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di redazione

Giuseppe Mazzola, autore del testo ‘Montelepre tra Separatismo ed Occidentalismo’ ritiene che ormai sia arrivato il momento di dire una ‘verità’ diversa sulla strage di Portella delle Ginestre. Analizzando i dettagli del prima, durante e dopo la strage è giunto alla conclusione, senza con ciò volere ricercare a qualunque costo i veri mandanti e gli esecutori, non essendo di sua competenza, che Giuliano e la sua banda non avevano consumato quella strage e, di conseguenza, deve essere definitivamente cancellata la triste ‘noméa’ di delinquenti appioppata alla cittadina monteleprina da ben 65 anni. L’autore, avvalendosi delle più disparate testimonianze dirette e facendo una descrizione precisa di tutto ciò che avvenne nell’arco di tempo che andò da prima delle elezioni regionali del 20 aprile 1947 a quelle nazionali del 18 aprile 1948, ha evidenziato la mistificazione di una storia pilotata per far credere di essersi trattato solo di un atto sconsiderato e delinquenziale di un bandito e della sua banda. Postazioni (ben cinque), armi usate (calibro e granate), motivazioni politiche (difesa della democrazia occidentale) sono punti fondamentali per la ricerca della verità. La postazione di Giuliano era molto in alto, sul monte Pizzuta, a circa 500 metri dal podio dove sono stati trovati oltre 800 bossoli cal. 6,5; un’altra postazione si trovava, nella stessa direzione ma molto più in basso, quasi all’altezza del podio, dove sono stati trovati oltre 70 bossoli calibro 9 lungo, lo stesso ritrovato sui morti e sui feriti colpiti in direzione orizzontale e non dall’alto in basso; le schegge di granata, trovate nei corpi straziati delle vittime, provenivano da postazioni opposte a quelle descritte sopra; testimoni, a caldo, hanno dichiarato di avere sentito dei colpi provenire anche dal monte Duxait. Se a Giuliano avessero imposto la strage e questi avesse accettato, sarebbero state necessarie approntare altre tre o quattro postazioni di tiratori estranei alla banda’ Non se ne sarebbero rimasti, i mandanti, tranquillamente e comodamente a casa ad aspettare, anziché rischiare di farsi scoprire con l’identificazione dei loro gruppi di fuoco’ L’autore invita i lettori a riflettere sul seguente episodio: ‘Giuliano aveva fermato quattro cacciatori che, dopo essere stati disarmati, furono tenuti a bada da due banditi armati di un mitra e di un fucile da caccia. Alla fine della sparatoria i cacciatori furono rilasciati e, subito dopo, dichiararono, in veste di testimoni, di avere visto Giuliano e compagni sparare in direzione della folla. Nessuno mai ha contestato che Giuliano e compagni avessero sparato e gli oltre 8oo bossoli repertati lo affermano incontestabilmente. Nessuno dei cacciatori però avrebbe potuto, e non lo ha fatto, dichiarare che Giuliano sparò diritto sulla folla per colpire. Dalla loro posizione sarebbe stato impossibile costatare. Se Giuliano fosse andato a Portella per realizzare la strage, avrebbe senz’altro eliminato quei testimoni scomodi e lo avrebbe fatto senza alcuna pietà se fosse stato davvero quel criminale senza scrupoli, quale è stato fatto apparire, massacratore e carnefice di donne e bambini inermi e innocenti’. Infine, il movente politico legittimava la reazione del mondo politico occidentale tendente ad opporsi ad una espansione sovietica nel Mediterraneo, così come faceva temere la prossima consultazione elettorale in campo nazionale già fissata per l’ottobre ’47, dopo l’affermazione delle sinistre nelle regionali del 20 aprile. Fino a quella data, Giuliano aveva appoggiato il suo avvocato, Nino Varvaro, repubblicano e filo-comunista, e non poteva avere in mente di consumare una strage, come artificiosamente afferma il dispositivo della sentenza di appello di Roma, così come non poteva essere in gestazione nella mente di chicchessìa perché nessuno si aspettava quell’esito elettorale, neanche le stesse sinistre.  Dal 21 al 30 aprile, i partiti di centro e di destra, l’OSS ed il Centro Antibolscevico con sede in Palermo in via dell’Orologio, in combutta con la mafia locale che diede tutto l’appoggio logistico possibile, idearono e misero in atto la strategia per arginare questa pericolosa avanzata delle sinistre. Nei saloni da barba di Piana degli Albanesi e nei ‘crocicchi’ di Corleone si iniziò a parlare di qualcosa di grave che si stava preparando per la festa del 1° maggio a Portella. Il segretario del PCI, Girolamo Li Causi, debitamente informato, convocò una riunione congiunta dei due partiti a livello regionale e informò le Direzioni Nazionali che inviarono l’On. Lelio Basso per seguire gli sviluppi in loco. Lo scrittore On. Michele Pantaleone, prima di morire, liberò la sua anima da questo peso infamante, denunciando tutta la sinistra per non avere impedito la strage. Andrea Ballerini, da direttore responsabile, pubblicò sull’Euro Mediterraneo N.5 del maggio 2003, edito dalla Fondazione Federico II della Regione Siciliana, l’intera intervista che si concluse così: << -Opportunismo politico, ma soprattutto il senso di colpa fecero cadere il velo del silenzio su questa parte dei fatti. Si preferì tacere. Le responsabilità maggiori in fondo erano di chi aveva ordito la strage e delle coperture politiche. Poi iniziò un vero e proprio processo di rimozione’.so che queste rivelazioni non piaceranno a coloro che non vogliono fare luce sul proprio passato. Ma sono verità, anche se scomode>>. Testimoni oculari riferirono di avere visto movimenti inconsueti di mafiosi, di militari in divisa e di camion subito dopo la strage. Giuliano e la sua banda dopo avere continuato a sparare in aria come avvenuto per le prime raffiche, quando gli astanti perfino applaudirono avendo scambiato gli spari per giochi d’artificio, si ritirarono avviandosi al territorio-rifugio di Sagana dove, solo l’indomani dal giornale, seppero della strage (postuma dichiarazione confidenziale dell’onnipresente Giuseppe Genovese all’autore del libro). Solo dopo due ore dalla strage il Questore Messana cominciò a parlare di Giuliano come unico responsabile, tesi poco credibile e contestatagli subito dal Li Causi stesso. I giornali però, solo dopo alcuni giorni, cominciarono a sostenere la suddetta tesi, fatta propria anche dal Ministro dell’Interno Mario Scelba (l’imput aveva funzionato). Da quel giorno scrittori, giornalisti, storici e pseudo-storici, poeti e cantastorie hanno continuato il loro bla-bla bla, spesso ridicolo, perché non supportato da serie e neutrali indagini investigative. Ancora oggi si continua a ripetere una storia che DEVE essere verificata e riscritta di sana pianta. Da quella data iniziò una sequenza di una trentina di morti ammazzati in falsi conflitti a fuoco, in vigliacchi agguati, con stricnina perfino dentro le carceri o ‘suicidati’ per chiudere tutte quelle bocche che avrebbero potuto svelare i retroscena di accordi infami tra lo Stato, con i suoi servizi segreti, e la mafia. Giuliano, dopo una veemente protesta con la mafia e con un articolo inviato al giornale comunista, finì per accollarsi la strage in cambio di improbabili amnistie per benemerenze acquisite sul campo, senza comprendere che tipo di maschera appioppava a se stesso ed ai suoi concittadini.  Continuò, infatti, questa farsa, fornendo alcuni elementi della sua banda a coloro che continuarono ad organizzare assalti alle Camere del Lavoro ed alle sedi dei due partiti di sinistra. A Borgetto furono visti dei militari all’assalto della sede del PCI e furono lasciati, come in tutte le altre sedi degli altri Comuni, dei manifestini a firma non autografa di Giuliano. Questo particolare indica inconfutabilmente che gli uomini di Giuliano non avevano la necessità di camuffarsi sotto divise militari. A Partinico, la reazione di un compagno dall’interno della Camera del Lavoro, che rispose al fuoco, consentì l’identificazione di un assalitore ferito: si trattava di un elemento della cosca mafiosa locale, dipendente di un MASSONE del luogo. A Monreale furono identificati due assalitori mafiosi del posto. Negli altri Comuni, i verbali dei carabinieri o dei poliziotti annotarono la presenza di numerosi soggetti, anche in divisa, in contrasto con l’esiguità delle presenze accertate degli uomini di Giuliano. Al Processo di Viterbo, nel verbale dell’11 maggio 1951, Antonino Terranova dichiarò: <<Giuliano mi disse che i manifestini gli erano stati portati pronti per essere lanciati, ma non mi specificò da chi furono portati >> aggiungendo, <<- seppi degli assalti alle sedi comuniste direttamente da Giuliano, il quale mi riferì che erano stati disposti dagli stessi che vollero la strage di Portella>>. Questa tesi, due giorni dopo, fu confermata da Gaspare Pisciotta indicando in Cusumano Geloso il fornitore dei manifestini. Il Terranova al ‘Processo farsa di Viterbo’ non fu preso in considerazione, così come tutti gli imputati che ritrattarono le dichiarazioni rese sotto le torture. Ai monteleprini restarono le sevizie, le torture, le deportazioni, le patrie galere, le miserie, i lutti, le devastazioni morali e materiali, le ingiustizie, anche gli stupri, sperimentando sulle loro carni e nelle loro anime la forza devastante del potere dello Stato. Da allora i monteleprini sono rimasti zitti e molti ancora continuano a parlarne solo sottovoce, perché il ricordo riporta alla coscienza i momenti drammatici del loro terribile vissuto. I monteleprini, coscienti di come si sono svolti gli eventi, sanno che le grida di protesta dei sopravvissuti alla strage sono LEGITTIME e, sanno altresì che sulle loro teste è stata giocata una grossa partita per la salvaguardia della democrazia e la libertà del mondo occidentale; ma si chiedono se non sia altrettanto legittimo da parte loro, e ritengono che ormai il tempo sia maturo, potere gridare al mondo che con la strage di Portella loro non c’entrano NULLA. A chi avesse ancora dei dubbi si consiglia una attenta lettura della lettera che il Fronte Antibolscevico inviò a tutti i principali giornali dell’isola, nella quale si ritrova il delirante linguaggio usato nei manifestini lasciati dopo ogni assalto alle sedi dei partiti di sinistra ed i toni minacciosi, spavaldi, arroganti e demenziali di chi guidò, in tutta la faccenda, le azioni nefande che il Giuliano fu costretto ad accollarsi. Tra l’altro durante le perquisizioni della sede del Fronte Antibolscevico, quando la Magistratura decise di chiuderla, furono trovate parte delle copie dei suddetti manifestini, senza alcuna conseguenza per i veri autori. La lettura del testo ‘Montelepre tra Separatismo ed Occidentalismo’ per la ricchezza di testimonianze dirette, dettagli e innumerevoli episodi, chiarisce fatti e circostanze ancora oggi inedite e, però, fondamentali per una pagina di storia che merita di essere riscritta ora (o mai più), che vi è ancora qualche sopravvissuto. L’autore già nel 1968 aveva saputo confidenzialmente da Vito Mazzola (cugino del padre e uno dei componenti tra i più anziani della banda), che Giuliano ed i suoi compagni non avevano sparato per uccidere a Portella e che quella versione, sulla misteriosa lettera pervenuta a Giuliano solo due sere prima, era stata concordata in alto loco. Giuseppe Genovese gli ha confermato questa tesi, come riferito più sopra e lo stesso Gaspare Pisciotta al Processo di Viterbo dichiarò, confermando, che la messa in scena della famosa lettera era una bufala. Le vittime di Portella rimangono, in tutta la tragedia, le uniche innocenti vittime sacrificali, perché scelte da tutti i protagonisti con cinica determinazione per il raggiungimento dei loro obiettivi strategico-politici. L’ignoranza e la dabbenaggine portò Giuliano ad accollarsela, mentre chi ha organizzato la strage, presumibilmente, si è giustificato col numero esiguo delle vittime al posto di una devastante guerra civile. L’OSS non andò via da Palermo fino all’esito delle elezioni nazionali del 18 Aprile ’48 e le navi statunitensi, pronte ad intervenire al largo della Sicilia, esaurirono il loro compito di eventuale pronto intervento. Su chi, invece, avrebbe potuto evitarla e non lo ha fatto rimane il marchio dello sporco e sadico calcolo politico-strategico.
Prof. Giuseppe Mazzola