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di redazione
A distanza di 64 anni dalla sparizione e omicidio di Placido Rizzotto, il sindacalista Cgil ucciso a Corleone da Cosa nostra, la Procura di Palermo ha riaperto le indagini sulla sua morte. Soltanto pochi mesi fa i resti di Rizzotto, che venne gettato in una foiba nel corleonese, sono stati identificati dopo una comparazione fatta con il dna della sorella. E proprio ieri sono stati celebrati i funerali nella chiesa madre di Corleone alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano e durante le celebrazioni il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, aveva chiesto la riapertura delle indagini sull’omicidio del sindacalista. Secondo gli inquirenti l’inchiesta è ‘un atto tecnico’ dopo l’individuazione dei resti. Il procuratore aggiunto Ignazio De Francisci e il pm Francesca Mazzocco sono i titolari della nuova inchiesta sulla tragica fine dell’ex partigiano socialista, tra i maggiori esponenti del movimento contadino siciliano per l’assegnazione delle terre incolte. I nomi dei mandanti e dei killer sono conosciuti da tutti, ma per la giustizia il fascicolo è ancora a carico di ignoti. Rapito mentre raggiungeva alcuni compagni di partito su ordine del capomafia corleonese Michele Navarra, con il quale era entrato in contrasto, venne massacrato e buttato giù da un dirupo. All’omicidio assistette un pastorello di 12 anni, Giuseppe Letizia, testimone di un fatto che non avrebbe dovuto vedere. Venne poi eliminato anche lui con un’iniezione mortale fattagli dallo stesso Navarra. Il rapporto sul caso porta la firma di un giovanissimo capitano dei carabinieri, Carlo Alberto Dalla Chiesa, anche lui, anni dopo, verrà assassinato dalla mafia. Per l’assassinio del sindacalista finirono in carcere Vincenzo Collura e Pasquale Criscione, che ammisero di avere preso parte al rapimento con Luciano Liggio, uomo di Navarra, poi capomafia al suo posto e suo assassino. Il corpo di Rizzotto non venne ritrovato, ma le sue scarpe sì. Il fratello della vittima le riconobbe perchè era stato lui a passarle a Placido dopo averle usate. I giudici gli chiesero di calzarle in aula senza curarsi del fatto che durante la permanenza nella foiba si erano deformate, e siccome non riuscì a mettersele non furono giudicate prova sufficiente a dimostrare che i resti ritrovati fossero quelli del sindacalista. Durante il processo, a sorpresa Collura e Criscione ritrattarono dicendo di avere mentito perchè interrogati sotto tortura “morale e fisica”. Sia loro che Liggio vennero assolti per insufficienza di prove e Dalla Chiesa rischiò l’incriminazione per falsa testimonianza. Un processo farsa, l’ennesima beffa per i familiari di Rizzotto. Il 7 settembre del 2009 la svolta: in una foiba di Rocca Busambra, a Corleone, furono ritrovati resti umani. Solo due anni dopo, l’esame del dna ha accertato senza ombra di dubbio che si trattava di quelli di Rizzotto. Una prima risposta alla domanda di verità sul destino del sindacalista. Molto più difficile sarà raggiungere una verità processuale: i tre assassini noti sono morti, quindi non giudicabili una seconda volta. Ma l’inchiesta riparte.
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