La lunga parabola della legge di riforma delle Province, conclusasi ieri con un voto segreto che ha di fatto “resuscitato” gli enti aboliti sulla carta per due anni, può essere considerata il paradigma dei governi Crocetta.
L’annuncio roboante di una Sicilia che anticipa tutti con una riforma “rivoluzionaria” priva di qualsiasi contenuto concreto; la paralisi politica e il nulla amministrativo di commissariamenti volti solo a gratificare amici e sodali, senza alcuna attenzione alle competenze degli enti disciolti (scuole e strade in primo luogo) e, infine, il deflagrante sigillo apposto dagli stessi deputati che due anni prima si erano accodati alla sceneggiata della riforma che cambiava solo il nome, rinviando di mese in mese, di anno in anno, il vero nodo del passaggio di competenze.
Ricordiamo le apparizioni sui canali televisivi nazionali che facevano a gara per contendersi l’uomo della rivoluzione, il gay dichiarato che aveva rotto tabù secolari della retrograda Sicilia, il rottamatore delle caste.
In realtà dietro la pseudo rivoluzione, c’era solo la frantumazione del vecchio blocco di potere del centrodestra, imploso per le scelte di Lombardo e Miccichè e la disperazione dei siciliani pronti ad affidarsi a chiunque pur di trovare un’ancora di salvezza.
E Crocetta che aveva imposto al PD la propria candidatura, affiancato dal volto pulito di Lucia Borsellino che, da dirigente generale della Regione fece campagna elettorale con lui, convinse un numero di siciliani estremamente ridotto (circa il 15% degli aventi diritto) ma sufficiente ad aprirgli le porte di Palazzo d’Orléans.
Il resto è storia recente: tutte le donne e gli uomini di Cuffaro e Lombardo gratificati di incarichi (e annesse retribuzioni) di responsabilità; provvedimenti politici e amministrativi privi di ancoraggio normativo e rivolti solo alla distruzione dell’esistente, senza un’idea di programmazione e di vera riforma; finanziarie fatte e rifatte più volte, ma sempre regolarmente falcidiate dal Commissario dello Stato; decine di sentenze dei tribunali amministrativi che cassavano provvedimenti, a volte anche sensati, ma basati sempre e comunque su procedure sballate.
Il tutto con il controcanto del PD, partito di lotta e di governo, con i vari Faraone, Lupo, Cracolici e Raciti che scavalcavano la timida opposizione parlamentare negli attacchi “ad alzo zero” contro gli assessori camerieri e un Presidente inadeguato che decideva da solo.
Almeno fino al Crocetta ter, dove i maggiorenti della politica regionale hanno potuto indicare gli assessori e, soprattutto, i componenti degli uffici di Gabinetto. Da allora calma piatta: Faraone, impegnato a trovare la strada di Palazzo d’Orléans, Lupo non pervenuto, Cracolici “desaparecido”, Raciti alle prese con il bilancino dei rapporti interni.
Eppure il disastro continuava e Crocetta decideva, in piena solitudine, di fare uno sconto da quattro miliardi di euro al governo Renzi e di non contrastare il regalo fatto al suo vecchio datore di lavoro (L’ENI) dal governo nazionale, con trivellazioni a gogò per mare e per terra.
Adesso la farsa tragica è finita e non ci sono più alibi per nessuno: il vecchio rito dei vertici di maggioranza evocato come necessario e non più rinviabile, appare come la biochetasi usata per curare un tumore con metastasi diffuse.
Resta una, e una sola, strada: approvare il bilancio e firmare le dimissioni in massa per lo scioglimento di una Assemblea regionale che si è dimostrata assolutamente incapace di dare risposte ad alcuno dei problemi della Sicilia.
Il pilota della “Sicilianwings” si chiama Crocetta, ma è tutto l’equipaggio che ci ha condotto al default.
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