Regionalismo differenziato, il sud chiamato ad un nuovo Risorgimento
Regionalismo differenziato. L’ordinamento costituzionale pre-riforma del 2001 delinea un modello istituzionale duale costituito da 15 Regioni a statuto ordinario e 5 Regioni a statuto speciale che godono di una autonomia maggiore rispetto alle prime.
La riforma del Titolo V della Costituzione entrata in vigore l’8 novembre 2001 dopo un lungo iter normativo che ha portato all’ approvazione della Legge Costituzionale n. 3 del 2001, ha cambiato questo assetto. In particolare, l’art. 2 di questa legge, ha introdotto il terzo comma dell’art. 116 della Costituzione, prevedendo la possibilità di concedere alle Regioni a statuto ordinario, attraverso la legge dello Stato, quelle forme e condizioni particolari di autonomia, proprie delle Regioni a statuto speciale come il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta.
Tale disposizione si riferisce alle materie espressamente individuate ai commi 2 e 3 dell’art. 117 (ovvero quelle di competenza esclusiva dello Stato e di competenza concorrente Stato-Regioni) sostanziando un’attribuzione di potestà legislativa esclusiva alle Regioni a statuto ordinario che si va ad aggiungere a quelle individuate dal 4° comma dell’art. 117 (si parla di regionalismo differenziato).
Nell’arco dei 17 anni trascorsi dalla riforma, la politica è tornata più volte sull’argomento, soprattutto sotto l’impulso dato dalla Lega di Bossi e Calderoli, che ha, di volta in volta, proposto soluzioni basate sul regionalismo, con iniziative tendenti a conferire più funzioni alle Regioni (devoluzione), o a riformare l’utilizzo delle imposte da parte dell’Ente (Federalismo fiscale). In contemporanea alcune Regioni Italiane, quelle storicamente più vicine alla Lega, hanno portato avanti un progetto politico tendente a realizzare l’autonomia prevista dall’art. 116 della costituzione, cercando di accedere a quelle “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” (rispetto allo standard delle Regioni a statuto ordinario) nell’ambito di un insieme piuttosto ampio di materie. Come dicevamo queste materie sono individuate dall’art 117 della Costituzione.
Lombardia e Veneto hanno chiesto ai propri cittadini, il 22 Ottobre del 2017, con un quesito referendario, se volessero intraprendere le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di quelle ulteriori forme e condizioni di autonomia. Il referendum per l’autonomia in Lombardia e Veneto si è concluso con la vittoria schiacciante dei Sì.
In entrambi i casi, la percentuale dei favorevoli al quesito autonomista ha oscillato tra il 95% e il 98%. Insieme a queste due Regioni si è unita l’Emilia-Romagna, il quale con la risoluzione n. 5321 dell’Assemblea legislativa regionale del 3 ottobre 2017, ha impegnato il Presidente della regione ad avviare il negoziato con lo Stato in precisi ambiti. Secondo il dossier prodotto dal servizio studi del Senato, il Governo ha l’obbligo di avviare il negoziato con le Regioni (art. 1, c. 571, legge n.147/2013), ma non l’obbligo di concludere l’accordo. Il Governo è vincolato ai più bassi livelli di governo, come le Regioni, soltanto dal principio di leale collaborazione che lo obbliga a cooperare con loro, in quanto entrambi appartenenti al medesimo ordinamento.
Il Ministro Stefani, improvvisamente dichiara che l’accordo è pronto
Ad irrompere all’improvviso, determinando un brusco cambiamento di marcia in questo iter burocratico, è stata la notizia, di appena 10 giorni fa del Ministro degli Affari Regionali e delle Autonomie, Erika Stefani, che ha dichiarato che i testi sull’autonomia erano pronti, e che l’indomani sarebbero andati in Consiglio dei Ministri. “Sull”autonomia differenziata con le regioni del Veneto, Romagna e Lombardia restano dei nodi politici sui quali discutere“, ha dichiarato il Ministro. A questo ha fatto subito eco il Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana che s è pronunciato su questo testo del M5s riguardante l’autonomia “lo esamineremo, la cosa che mi lascia perplesso è che ne stiamo discutendo da nove mesi. Se fosse uscito un po’ prima sarebbe stato meno colpo di scena. Forse ne avremmo iniziato a parlare“.
La notizia dell’inaspettata accelerazione delle trattative ha innescato la reazione di tutte le Regioni, che probabilmente non avevano mai creduto veramente alla realizzazione del regionalismo differenziato, allontanando la discussione nel tempo. Tutte le preoccupazioni emerse riguardano l’effettiva conoscenza delle modalità con cui si realizzerà questo accordo con le tre Regioni.
Il governatore Musumeci ha chiarito subito questo passaggio “Non sono preoccupato. Il problema è conoscere questa bozza. Questa trattativa tra Regioni del Nord è stata condotta in silenzio, sottotraccia, come se riguardasse solo le Regioni del Nord, e invece le sue implicazioni ricadranno su tutto il resto d’Italia”.
Alcuni possibili scenari e le sue implicazioni sono stati richiamati dal professor Gianfranco Viesti nelle pagine della rivista Micromega, dove ha ricordato l’importanza del funzionamento dei servizi pubblici perché intaccano l’universalità dei diritti. Due esempi su tutti sono l’istruzione e la sanità. Secondo Viesti chiedere la regionalizzazione dell’istruzione, come hanno fatto Veneto e Lombardia, significa “all’atto pratico che i docenti e il personale diventerebbero dipendenti regionali, non più statali, con contratti specifici e nuovi salari da stabilire”. Per quanto riguarda la sanità, la regionalizzazione significherebbe la fine del Servizio Sanitario Nazionale.
Un nuovo Risorgimento per il sud
L’argomento che ha infiammato la discussione è stato quello relativo alla perequazione fiscale, che porterebbe ad uno svantaggio per alcune regioni, soprattutto al sud. Prima di introdurre le parti contrapposte su questo argomento, bisogna meglio delineare l’aspetto della perequazione.
La perequazione fiscale è un trasferimento di risorse dal centro alla periferia, allo scopo di attenuare le differenze di capacità fiscale o di costi dei servizi pubblici, esistenti tra diverse aree territoriali. L’obiettivo generale della perequazione fiscale consiste nel garantire, a parità di sforzo fiscale, ma soprattutto di efficienza dei governi locali, la stessa fornitura potenziale in termini di qualità / quantità dei servizi pubblici di carattere regionale o locale. Ritornando al regionalismo differenziato, l’art. 116 Cost. quando parla di costi si limita a richiamare i principi dell’art. 119.
Questo prevede, relativamente al finanziamento delle ulteriori competenze eventualmente devolute alle Regioni, che le funzioni attribuite alle Regioni trovino copertura finanziaria nei propri tributi, nelle compartecipazioni ai tributi erariali e nei trasferimenti dal fondo perequativo. L’attuazione di questo sistema nel nostro ordinamento creerebbe un sistema di autonomia differenziata che darebbe vita ad un nuovo modello istituzionale cosiddetto “tripartito”, dove alle Regioni a statuto ordinario e a quelle a statuto speciale, si affiancherebbero le Regioni a statuto ordinario con federalismo differenziato. Il condizionale è d’obbligo in quanto, non esistono al interno del nostro ordinamento, norme o regole al riguardo.
De Luca, Musumeci e le Regioni del Sud
Quelli che hanno manifestato più dubbi al riguardo, sono soprattutto le Regioni del sud, in cerca di garanzie, convinti che un cambiamento di questo tipo, potrebbe sfasciare l’unità nazionale, tanto da farli parlare di secessione delle regioni del nord.
A guidare il sud, il Presidente della Campania De Luca. “Faremo di tutto per bloccare il processo dell’autonomia differenziata se vengono meno le questioni di contenuto e metodo democratico. Siamo pronti al ricorso alla Corte Costituzionale, alla mobilitazione sociale e alla lotta. Lo spirito che abbiamo è di un nuovo Risorgimento se vanno avanti spinte destinate a disgregare l’unità del Paese“. Dello stesso avviso il governatore della Sicilia Musumeci, che ha ricordato durante la trasmissione Porta a Porta che “La domanda che bisogna porsi è se si può trovare una sintesi tra lo spirito unitario e quello autonomistico. Questa sintesi si chiama fondo perequativo. E l’autonomia non deve sfociare nel discorso che chi è ricco diventerà più ricco e chi è povero diventerà più povero, altrimenti non c’è più l’Italia“.
Rendendo visivamente con un grafico l’Italia, in base alle dichiarazioni di intenti, sino ad oggi fatte, dai singoli governi locali, riguardo all’ iniziativa del governo di concedere a Romagna, Lombardia e Veneto l’autonomia richiesta, è palese lo stato di incertezza che segna le Regioni del sud, in particolare la Puglia, dove è stata presentata una mozione di contrarietà al sistema autonomistico e la Regione Calabria che sta guidando la riscossa del sud a favore di un federalismo che non sia una secessione mascherata, chiedendo che prima di tutto vengano definiti i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali, ma soprattutto che vengano garantiti su tutto il territorio nazionale.
L’assessore regionale Gaetano Armao ha ricordato nel suo intervento al parlamento regionale le parole di Luigi Sturzo, che ben riassumono la posizione di un sud favorevole all’autonomia, ma all’interno dell’unità nazionale.
«Lasciate che noi del Meridione possiamo amministraci da noi, da noi designare il nostro indirizzo finanziario, distribuire i nostri tributi, assumere la responsabilità delle nostre opere, trovare l’iniziativa dei rimedi ai nostri mali ;… non siamo pupilli, non abbiamo bisogno della tutela interessata del Nord; e uniti nell’affetto di fratelli e nell’unità di regime, non nella uniformità dell’amministrazione, seguiremo ognuno la nostra via economica, amministrativa e morale nell’esplicazione della nostra vita».
Sarà in ogni caso il parlamento italiano a decidere, in quanto spetta a lui, l’approvazione, a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna camera, di una possibile proposta di legge che regolamenti l’autonomia delle tre Regioni richiedenti.