Per la Sicilia il modello è quello della Sardegna, che è passata in quindici anni da ultima regione in Italia per raccolta differenziata a seconda, a un solo punto percentuale dal Veneto, prima nello Stivale. Per farlo è necessario l’impegno di tutti: a partire dalla Regione ma anche dalle amministrazioni delle città più grandi che in Sicilia ancora danno risultati poco soddisfacenti.
La strategia passa dalla raccolta differenziata alla creazione degli impianti per il trattamento rifiuti, uscendo dalla logica della discarica copiando quanto hanno fatto le altre regioni di Italia.
Questo il programma esposto da Legambiente che oggi ha presentato la terza edizione del progetto “Sicilia Munnizza Free”. “Qualcosa è cambiato da tre anni a questa parte in tema di raccolta differenziata, con un trend in miglioramento”, ha detto Tommaso Castronovo, coordinatore del progetto. Ad oggi, è stato riferito, sono 130 comuni in Sicilia che hanno superato la quota del 65% della quota di raccolta differenziata prevista dalla legge ma il problema riguarda ancora le grandi città metropolitane “ferme al 20% di differenziata” e circa “4 milioni di cittadini che non hanno servizi adeguati”.
“Dobbiamo mettere in campo una nuova politica dei rifiuti in regione. Lo faremo dando i nostri consigli e i nostri partner. Tutte le competenze e le azioni dei volontari e le nostre relazioni internazionali per tirare fuori la Sicilia dal caos dei rifiuti come lo abbiamo fatto 15 anni fa con la Sardegna”, ha spiegato il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani. “Bisogna partire con il piede giusto”, ha spiegato, “in Sicilia ci sono capoluoghi che fanno meglio di molte città del Nord Italia come accaduto a Ragusa e Agrigento. Ma i sindaci di Palermo, Catania e Messina devono fare quello che fino ad oggi non hanno fatto. Se la situazione in Sicilia è quella che abbiamo conosciuto oggi è perché le tre aree metropolitane non hanno fatto il lavoro fatto da altre città”.
Per il numero uno dell’associazione ambientalista “bisogna evitare di fare impianti di incenerimento, non bisogna partire dalla ricetta già utilizzata 25 anni fa da altre regioni. Bisogna evitare di tornare a quella direzione ma ci sono progetti che vanno in questa direzione”.
Un ruolo in questa sfida ce l’ha anche il Conai e per Luca Ruini, presidente del Consorzio, “serve coinvolgere i cittadini perchè altrimenti qualsiasi tipo di piano sarebbe insufficiente”. “Bisogna individuare i fabbisogni impiantistici necessari all’interno del territorio dove operiamo e questo vuole dire anche una crescita occupazionale dell’indotto”, ha aggiunto, “in questo quadro rientra l’accordo stipulato con il Ministero dell’Ambiente per le tre città metropolitane insieme alla Regione, che ha permesso di sbloccare fondi importanti per le tre città di Palermo, Catania e Messina”.
“Serve una accelerazione, abbiamo avuto una ottima collaborazione con il precedente assessore Pierobon e siamo sicuri anche di averla con il nuovo assessore ma provando a ottenere insieme delle ricadute sul piano concreto. Oggi è necessario andare più veloce”, ha sottolineato Mario Alvano, segretario di Anci Sicilia.
“Un aspetto da considerare”, ha aggiunto, “è quello della sostenibilità finanziaria. Su questo ancora riscontriamo profonde criticità”. Per Alvano il tema del pagamento della Tari, “che rappresenta o dovrebbe rappresentare il 100% del costo per la gestione dei rifiuti è uno di quegli aspetti su cui vanno fatte iniziative forti e forse serve interrogarsi se non serva una modifica legislativa profonda”. “Oggi abbiamo difficoltà nella riscossione di questo tributo ma fino a che noi non abbiamo il diretto rapporto tra costo e incasso da parte dei comuni avremo una situazione che si ripercuote come deficit finanziario per le casse degli enti locali”. (italpress)
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