Quando il politicamente corretto diventa concorso morale in strage

Mentre l’Europa si interroga con colpevole ritardo su come affrontare l’emergenza immigrazione, in Sicilia si cerca di aggiornare la tragica contabilità dell’ultimo naufragio.
Prima erano settecento, una cifra già mostruosa adesso, secondo la testimonianza di uno dei ricoverati all’ospedale di Catania, potrebbero essere quasi novecento.
Sul barcone della morte, infatti, oltre ai profughi stipati sulla tolda ce ne sarebbero stati altri nella stiva, con i portelloni bloccati dall’esterno in modo che non potessero uscire durante la traversata.
Le cronache del ventunesimo secolo nel mare dove è nata la civiltà occidentale, fanno impallidire quelle dei secoli bui dello schiavismo.
La tratta dei migranti di oggi è una sorta di lotteria, dove i disperati acquistano un biglietto per migliaia di dollari e non sanno se finiranno in pasto ai pesci del mare o agli squali di casa nostra. Quelli che “l’accoglienza è meglio della droga”, quelli che hanno mercificato anche i sentimenti umani più nobili.
Quando i morti si contano a migliaia non è più il tempo del “politicamente corretto”, dell’odiosa ipocrisia di chi specula sulla vita degli altri, sfruttando il lavoro volontario di migliaia di persone perbene che alla fratellanza umana, invece, ci credono per davvero.
L’atteggiamento delle istituzioni europee, Italia compresa, si può classificare sul piano etico in un solo modo: concorso in strage.
Il meccanismo è semplice: sulle coste africane c’è una organizzazione rodata che agisce per interessi economici e terroristici e manovra le centinaia di migliaia di profughi ammassati in campi, dove non sono garantite neanche le condizioni minime di sopravvivenza.
Le morti in mare che tanto ci indignano, sono solo una minima parte di quelle che avvengono durante la fuga dalle zone di guerra o di carestie o all’interno dei campi. Ma questa contabilità non interessa nessuno: occhio che non vede cuore che non duole.
Questa realtà continua ormai da oltre un decennio nell’indifferenza globale ed è il vero nodo da affrontare.
Solo che non ci sono interessi economici o posizioni strategiche da difendere e quindi nessuno interviene: né l’ONU dei burocrati che organizzano gli aiuti negli uffici esclusivi o in hotel a 5 stelle, né l’Unione Europea, tarata ormai solo sugli interessi della grandi lobby finanziarie.
Eppure la soluzione al problema ci sarebbe ed è molto semplice: un contingente internazionale armato che prenda il controllo militare dei campi profughi libici e delle vie di accesso, con un apparato civile dell’ONU che valuti le richieste di asilo politico dei rifugiati e li distribuisca in tutto il mondo, con regolari permessi di soggiorno e trasferimenti sicuri.
Ciò toglierebbe ai mercanti di schiavi la “merce” da piazzare e spazzerebbe via il “business dell’accoglienza”.
Ma voi pensate che i leader europei si daranno da fare per proteggere un pezzo di Sahara e i principi di umanità, senza che dietro ci siano fonti energetiche da gestire?