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Province abolite in Sicilia. Spazio ai commissari per i Consorzi di Comuni

di Sergio Paternostro

Palermo, 20 mar – ARS, 55 voti a favore e 22 contrari. La Sicilia, per una volta o per l’ennesima volta (scegliete voi), anticipa i tempi e si fa avanguardia abolendo le province: la prima regione in Italia. A primo acchito una buona notizia, no? In linea generale si, ma la realtà, come quasi sempre accade, è molto più complessa. Questa vicenda si presta ad essere analizzata da svariati punti di vista.

Simbolico. Il tema dell’abolizione delle province, anche a livello nazionale, è diventato nel tempo (non si sa per quale oscura ragione) il vessillo della lotta agli sprechi, la battaglia da combattere senza indugi contro la casta per abbattere i costi della politica mentre ai cittadini, vessati da tasse eccessive e liberticide, si chiedono sacrifici di ogni tipo. E allora ben venga questa abolizione come simbolo di tale lotta agli sprechi e ai privilegi, come monito anche a livello nazionale, come segno concreto di una politica che cerca soluzioni alternative rispetto alla fiscalità creativa che, guarda un po’, colpisce sempre quelli che non dovrebbero essere colpiti. Non importa che ci siano sprechi maggiori e più scandalosi, non importa che chi non ha lavoro o gli imprenditori sull’orlo della chiusura domani avranno gli stessi medesimi problemi, non importa che l’abolizione delle province non è la panacea per tutti i mali: anche i simboli hanno il loro valore. E allora, viva l’abolizione delle province! Simbolico nel ritrovare fiducia nella politica anche il fatto che tale provvedimento era nel programma elettorale di Crocetta. Altro buon segno!

Economico. Qui il tutto si fa più intricato. Fino a pochi giorni fa Crocetta dichiarava che con la riforma si sarebbero risparmiati 50 milioni, poi 100, infine 200 considerando gli effetti complessivi. La realtà dei fatti è che si sono abolite le province ma non si sa cosa ci sarà al loro posto: entro il 31 dicembre si deve disciplinare la materia dei consorzi liberi di comuni e delle aree metropolitane. Quanti saranno? Cosa faranno? Quali saranno le competenze? Nessuna certezza. Quindi al momento si risparmiano i costi delle indennità ai presidenti e agli organi di funzionamento (circa 10 milioni) e i costi delle elezioni visto che i consorzi saranno enti di secondo livello. Di più non si può dire. Meglio di niente, è vero: ma i reali effetti della riforma sono ancora da valutare.

Efficienza amministrativa. Anche qui la faccenda è poco chiara, dipendendo dalla futura regolamentazione ancora nebulosa. Al momento le province, nonostante la loro percezione di enti inutili, curano, tra l’altro, la riscossione di tasse automobilistiche, la manutenzione di scuole e strade. La riforma porterà ad una semplificazione e ad una maggiore efficienza? Forse.

Politico. Ha vinto Crocetta? Hanno vinto i grillini? Una vittoria del tanto decantato “modello Sicilia”? Sicuramente Crocetta, dopo tanti annunci, incassa un ottimo risultato dando dimostrazione di solidità e di capacità di attirare il consenso anche al di là del proprio schieramento. Ora si chiede al presidente della regione di proseguire sulla via della concretezza, parlare meno di rivoluzione e andare più al sodo dei problemi reali. Alcuni segnali iniziali in questo primo scorcio di governo sono incoraggianti ma bisogna cambiare marcia soprattutto per rispondere (nei limiti delle competenze e dell’autonomia regionale) al disagio sociale crescente. I grillini, dal canto loro, dimostrano di essere in grado di dettare l’agenda politica ponendo all’attenzione alcuni dei loro temi caldi senza sporcarsi le mani con responsabilità di governo da loro tanto disprezzate (per dirla alla buona, la loro vocazione naturale è maggioritaria quindi o hanno loro la maggioranza o nessuna alleanza). Bisogna essere ben chiari su un punto però: il modello Sicilia non esiste o quanto meno non è esportabile in questi termini a livello nazionale. Il governo regionale siciliano non necessita di un voto di fiducia, per cui la strategia di votare “di volta in volta” è pienamente applicabile. La grammatica costituzionale elementare ci dice che, invece, a livello nazionale il governo necessita un voto di fiducia dalla maggioranza dei parlamentari. Non esistono scorciatoie. O il movimento si prende sulle spalle la responsabilità di cambiare il paese nei fatti e non a parole oppure avremmo un’altra schiera di abilissimi parolai pronti a lanciarsi contro il sistema ma essendo felicissimi di poter solo sbraitare contro gli inciucisti. Ma sono attrezzati davvero per entrare con cognizione nella “stanza dei bottoni”?

Intanto godiamoci questa abolizione, consapevoli di essere sperimentatori ma sperando di non essere cavie.

Redazione

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