Palermo, 23 gen.- Mi è capitato di trovarmi all’estremo da un paio d’anni a questa parte. L’estremo per alcuni è una vocazione, per altri è una ragione, una ragione per molte cose. Delle due, scelgo la terza: io, all’estremo, ci sono per caso.
Persino al rugby ci sono arrivato per caso, dopo una tediosa “arrustuta” di carne, cui avevo preferito il conforto aspro del vino. Forse sono ubriaco da allora, ma in certi casi, caro Bukowski, meglio essere cirrotico che sobrio.
Così comincia il 2013 sportivo dell’Iron, a Palermo, una Palermo sciroccata, nei due sensi del termine, dove – pensa un po’ – gli atleti sono anche operai, addetti alla sicurezza, addetti allo spogliatoio, addetti al terzo tempo e, cosa non da sottovalutare, anche addetti a se stessi.
Si sa, il rugby fa crescere; in realtà non immaginavo così tanto. Si vaga come fantasmi senza requie sul campo, alcuni sondando a passi profondi i processi reconditi del proprio animo, immaginandosi forse già nella tenzone della partita a chiedersi cosa offrirà la zolla fangosa e spoglia di erba su cui affonda la figura ponderosa, altri con l’animo lieve delle cose belle, infine, come osservatori voraci, tre gnomi che sembrano essere le versioni rimpicciolite dei Re Magi in salsa Ciprì e Maresco.
Più di tutto mi colpisce la loro febbrile curiosità e li vedo già cresciuti, come la chioccia, a misurare i passi e a battere il terreno con fare nervoso. Mi chiedo se ce la faranno, o se il Borgo li inghiottirà di nuovo.
C’è un silenzio non richiesto nello spogliatoio: quest’anno sul groppone pesano sin troppe sconfitte, troppi amari ricordi e graffianti incertezze, ma siamo lì, nel nostro formicaio cadente, a gestire l’attesa delle maglie e della distinta di gara.
Capitan Cacahuete e Capitan Rojo danno una mano alla distribuzione delle maglie. Li trovo in bilico tra la voglia di crederci e la paura di non farlo abbastanza. L’uscita dallo spogliatoio, mezzi vestiti, vorrebbe fugare ogni dubbio, ma semmai i dubbi li alimenta.
Sembriamo avere gli occhi spenti della stanchezza – di già – dell’appagamento ripiegato su noi stessi. Poi comincia il valzer cruento della domenica. Dopo il calcio d’inizio, ci lasciamo esplorare dagli avversari per i primi 5 minuti: la partita, che per la maggior parte è una guerra tra mischie, sembra già orientata verso un’eccessiva imprecisione sui punti d’incontro.
Con lo scopo di portare a casa il macinato, i nostri avversari, quell’Acireale che già vinceva 7-0 al quinto minuto dell’andata, piazzano il primo allungo su un calcio di punizione: 3-0, essere sotto nel punteggio è un’abitudine consolidata. È in questo momento che comincia un’altra partita.
La guerra di mischia ha un nuovo orchestratore e stavolta ha la maglia blu scuro dell’Iron. Touche, chiuse e maul sembrano essere a nostro esclusivo appannaggio. Mi chiedo quale dio ringraziare, poi, nelle lunghe pause dell’estremo, mi giro verso la panchina: il nocchiero blasfemo dal capello d’argento, El Flaco, sta in piedi, fiero, dando solo talvolta qualche breve consiglio.
Abbiamo in mano il pallino del gioco e un Rojo mai così infuocato come adesso tiene alto il ritmo e vigile la difesa. Con scatti felini, personalità e quel coraggio di cui tutti sembrano infusi, impone l’errore al mediano avversario, cosa che gli consente di sgattaiolare via e rapido schiacciare il pallone oltre la linea di meta: 5-3 e poi il piede, lo stesso piede che ci aveva – in parte – condannato all’andata, a siglare la trasformazione per il 7-3.
La prima meta dell’anno 2013 e la nostra prima volta in vantaggio durante la stagione ci danno ancora più fiducia e continuiamo a macinare un gioco di buon ritmo e tanto agonismo. Per tre volte sprechiamo limpide occasioni per aumentare lo scarto, poi ancora una fiammata ed El Trator Manfredi Salomone si trova oltre la linea fatale. 14-3 e sembra quasi inverosimile.
Piano piano anche i trequarti, di solito timida espressione di un gioco involuto, cercano di farsi sotto e mostrano doti di lotta che fino a quel momento erano rimaste sopite. Continuano ad avanzare, si rialzano, lottano su ogni centimetro e su ogni pallone che passa dalle loro parti, come se fosse l’ultimo della partita, cosa che, in generale, per un trequarti in serie C è anche plausibile tutto sommato.
Si aprono varchi e si esplora la difesa, più volte relegando gli acesi alla loro 22, infine ecco spuntare da una nuvola di fumo e impalpabilità un nuovo protagonista: Gianmarco Gomez Vella. Si rialza, si batte, si dibatte e, con movimenti meritevoli di almeno 5 minuti di TMO, arriva oltre la linea di meta.
Gomez, che tutti sperano possa materializzarsi più spesso oltre la propria nuvola, ha marcato la sua prima meta. L’avesse fatto apposta, ha anche il tifo personalizzato ad attenderlo al ritorno a metà campo. La vita non finisce mai di sorprendere.
Il primo tempo si chiude 3 mete a 0, con la sensazione di non avere ancora ingranato la massima velocità e mantenendo una freschezza fisica invidiabile. Il secondo tempo dimostra che ancora c’era tanta benzina in corpo.
La mischia consente buone piattaforme e una trequarti finalmente reattiva sfrutta al meglio le opportunità. El Polemico schiaccia il bonus e smette per un po’ di polemizzare, da non crederci. La partita si chiude definitivamente quando El Niño, fino a quel momento pessimo cliente in difesa, mette anche la sua firma a referto con una meta alla bandierina che sfrutta la superiorità al largo con freddezza, una freddezza che sembra contraddistinguerlo sempre, più di molti veterani.
Sono infatti loro, i vetusti moralizzatori detentori di costume antico (che poi tanto antico non è), a tenere banco da quel momento. Con la partita virtualmente terminata, comincia un inutile balletto di scorrettezze, che parte proprio da chi dovrebbe avere la tranquillità degli anni, con – dispiace dirlo – la compartecipazione di un arbitro più bravo a sventolare il cartellino giallo che a mantenere la disciplina in campo.
E così, negli ultimi trenta minuti di un match che scivola lentamente verso il tramonto, si apre una sfilata di cartellini gialli, da una parte e dall’altra, che fotografano una partita inutilmente nervosa, tra due compagini che, in entrambe gli incontri, hanno dimostrato di voler comunque giocare a rugby.
El Esqueleto, con tinta ossigenata che rende il suo cranio ancora più lucido, apre le danze, seguito a ruota dal Piernacorta, entrambi vittime delle proprie linguacce. Anche El Compañero, pur non arrivando all’espulsione, mostra segni evidenti di un nervosismo scomposto, cosa che continua a farci penalizzare di buona lena.
Dopo una partita fino a quel momento impeccabile – e che resterà comunque più che buona per tutto il pacchetto di mischia – la sostituzione arriva a lavare via qualche peccatuccio di troppo dovuto alla stanchezza. Entra uno dei tanti figliuoli prodighi di questa stagione: Francesco “El Esmeril” Di Pasquale. Entra con tutta la voglia di portarsi via problemi e questioni con una buona prestazione e, in 13 contro 15, quando gli avversari prendono campo, sfrutta la prima occasione: sbatte, sgomita, scivola e poi cade oltre la meta con tutto il pallone, sommerso subito dopo dal giubilo dei compagni. Ben trovato, Esmeril.
Nonostante la meta in inferiorità, però, la mancanza di due uomini in posti chiave incide sulle gambe e sulla concentrazione, così, a parità ricostituita, l’Iron concede altre due mete, non prima di aver dato luogo a un altro siparietto da cartellino giallo, con Entonces-te-despiertes protagonista di un episodio oltre il limite del regolamento. Gli ultimi scampoli di partita scivolano via con ancora una meta del Polemico, spostato all’ala, l’ultima fiammata, prima del triplice fischio tanto atteso.
Cinque punti che fanno stare felici, ma che, dall’altro lato, fanno rammaricare delle occasioni sprecate durante un infausto girone di andata. La mediana, a cura del Rojo e del Esqueleto hanno dato ossigeno ai centri in buono spolvero, con il ritorno del Sietenegros tanto gradito.
Le ali e, più in generale, il triangolo allargato hanno fatto un buon lavoro sia in copertura sia in fase offensiva, ma è soprattutto con il ritmo imposto da una mischia giudiziosa che si è fatta la differenza. Fabio “Refunfuño” Di Vita non ha fatto sentire la mancanza del Gigante e Superman ha fatto vedere che può essere anche un saltatore.
In ultimo guardo gli occhi sognanti dei Re Magi e mi dico che un giorno anche a loro toccherà questa effimera gloria, questa festa che brucia forte e chissà che al Borgo finalmente non tocchi il blu Iron quanto il rosa del calcio.
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