Ponte stretto di Messina: dove sta la verita’?
Quella del Ponte sullo Stretto di Messina è una vicenda chiusa definitivamente? Assicurazioni e smentite si susseguono, senza alcuna certezza.
di redazione
Quella del Ponte sullo Stretto di Messina è una vicenda chiusa definitivamente? Assicurazioni e smentite si susseguono, senza alcuna certezza.
A questo punto è necessario chiedersi perché un’opera, inizialmente voluta da tutti – a cominciare da Prodi per finire a Berlusconi, passando per Rutelli, appaltata quasi sette anni fa (sette anni!!!) al più grande consorzio d’imprese che abbia mai partecipato a gare in Italia, non abbia visto nemmeno aprirsi i cantieri. – Questo il pensiero del direttivo del Movimento azzurro di Messina – E, soprattutto, perché quasi nessun Italiano abbia ancora compreso a cosa serve veramente il Ponte, con la conseguenza che é diventato il simbolo dell’inutilità e dello spreco dei soldi pubblici.
Nessuno ha detto che dovrebbe servire a convogliare, attraverso l’Italia, la parte maggiore possibile degli enormi flussi di merci provenienti da Suez e dal continente africano e dirette in Europa, e viceversa, per cui il collegamento stabile attraverso lo Stretto diventa segmento indispensabile del Corridoio Berlino-Palermo.
Far diventare la Sicilia il terminale Sud dell’Europa può trasformare il nostro Paese (tutto il Paese) nella sede ideale per lavorazioni, assemblaggi e distribuzione di merci prodotte là dove lo impongono le leggi dell’economia. Siano esse prodotti finiti, semilavorati o materie prime. La PMI del Nord sa bene cosa vuol dire abbreviare i tempi di spedizione: non si tratta solo di ridurre i costi, ma anche e soprattutto incassare alcuni giorni prima, ridimensionare le scorte di magazzino e utilizzare meglio i vettori.
Trasformare il Corridoio Berlino-Palermo nel Berlino-Bari-Malta fa perdere a (tutto) il nostro Paese buona parte del vantaggio che Madre Natura gli ha dato.
Ciò premesso, riformuliamo la domanda iniziale: perché un progetto così importante per il Paese non solo si è inceppato, ma una gran parte degli Italiani appare totalmente indifferente – se non contraria – alla sua realizzazione?
Ragionando in soldoni, i compiti della società concessionaria, la Stretto di Messina, erano tre: di natura tecnica, economica e sociale. Nell’ordine: guidare il General contractor nella realizzazione del progetto definitivo e verificarne la validità; reperire le risorse economiche necessarie e infine coinvolgere il Paese nella più grande impresa tecnico-scientifica della sua storia, promuovendo lo sviluppo di un territorio socialmente ed economicamente arretrato. Appare oggi evidente che solo il primo obiettivo è stato raggiunto – e, a quanto dicono gli esperti, rappresenta una pietra miliare nella metodologia di progettazione delle grandi opere, pur se manca ancora il crisma ufficiale di una Valutazione d’Impatto Ambientale. Che tarda, impantanata – a quanto si dice – sui conteggi dei volatili maschi e femmine che potrebbero cozzare contro le torri, mentre ogni giorno da Messina vanno via 4-5 giovani perché non c’è lavoro né prospettive per il futuro.
Su finanziamenti privati, coinvolgimento del Paese e organizzazione del consenso è meglio stendere un velo pietoso. La ricerca di risorse private non è mai stata seriamente avviata anzi, a quanto appare, i possibili finanziatori sono stati ben poco incoraggiati, se non decisamente snobbati.
La ricerca del consenso – politico e popolare – doveva passare attraverso una spiegazione esauriente e convincente delle ragioni (che prima abbiamo sommariamente richiamate), che stanno alla base del collegamento stabile tra la Sicilia e il continente europeo. Nulla di tutto ciò è stato adeguatamente promosso sul piano della comunicazione: nell’immaginario collettivo del Paese, il Ponte si è ridotto a un favore da fare a Messinesi e Reggini al fine di passare più in fretta da una sponda all’altra. Ed è tale interpretazione riduttiva che diventare ingiustificabile un investimento economico e tecnico-scientifico di tale entità. Alla prova dei fatti la società concessionaria si è dimostrata culturalmente inadeguata alla dimensione della sfida.