Palermo, 19 Nov. – Reduci dalla campagna elettorale delle Regionali, travolti dalle informazioni sulle primarie del centrosinistra e del centrodestra, in attesa delle elezioni nazionali, l’argomento in assoluto più in voga sono “i costi della politica” nell’accezione più negativa immaginabile, cioè come sinonimo di spregevole spreco.
La politica, come le altre attività, non può non avere costi; il punto è, per utilizzare un linguaggio economico, analizzare il rapporto costibenefici, quantificare cioè la remunerazione del capitale. Vi è corrispondenza tra imposizione fiscale e servizi ricevuti? Le scuole sono sicure? L’istruzione pubblica è di qualità? Il trasporto pubblico è efficiente e puntuale? E così via, per l’assistenza sanitaria, i collegamenti, gli asili pubblici, il decoro urbano.
E la risposta è evidente: no, lo Stato non offre al cittadino un contesto idoneo in cui vivere e operare. E la responsabilità non può che essere addebitata alla classe politica passata e presente, a chi ha scelto come governare e come amministrare il denaro pubblico e che, forse, continuerà a guidare il Paese.
La conseguente insoddisfazione e la rabbia degli italiani si traducono in odio per tutti i politici, indipendentemente dalla loro reale responsabilità. E da qui inizia e si diffonde la moda di parlare in via esclusiva di auto blu, di ingressi in tribuna autorità allo stadio, di biglietti gratuiti alle prime dei teatri, di servizio gratuito di barberia a Montecitorio, di cibi pregiati in Parlamento a fronte di una manciata di euro; e per magia non esiste più un solo politico d’accordo con queste spese che diventano leit motiv di campagne elettorali e punti imprescindibili di programmi politici, di comizi nelle piazze, di interventi nei media: sprechi di qualità. Insomma, fumo negli occhi.
Ma lo spreco è qualitativo o quantitativo? È questa la domanda che dovremmo porci. Limitarsi a campagne di razionalizzazione delle auto blu o dell’abolizione del servizio di barberia, distoglie l’attenzione dai veri sprechi milionari, inspiegati e spesso inspiegabili.
Abolire questi fastidiosissimi privilegi, non accettabili in un momento di crisi come questo in cui ai cittadini si chiedono grandi sacrifici e la politica dovrebbe dare esempio di sobrietà, economicamente equivale a sostituire, in un appartamento, una vecchia lampadina con una a basso consumo: cambia ben poco.
Il Paese è infatti vittima di una lunghissima serie di sprechi quantitativamente rilevanti ai fini del bilancio statale in settori di ogni tipo: dalla sanità alle infrastrutture, dalle società partecipate agli uffici pubblici, dai vitalizi dei parlamentari ai rimborsi elettorali ai partiti. Io credo che sia prioritario individuare questi centri di spesa e non girarsi dall’altro lato di fronte all’evasione fiscale dei potenti. Occorre fare scelte economicamente utili per il Paese. I partiti e i candidati parlino di politica e di economia e non si limitino a cavalcare l’onda del facile consenso.
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