“Un poeta normale”, racconti di vita ordinaria al Brancati di Catania

Catania –  Un progetto che  si basa sull’interazione tra due persone diverse e sulla sperimentazione delle forme che questa può assumere. Il punto di partenza da cui scaturisce l’incontro tra due personaggi “diversi” sono le poesie scritte da uno dei due attori, Giuseppe.

Lo spettacolo, costruito durante un intenso lavoro di laboratorio, è una composizione di immagini scaturite dai racconti della vita ordinaria di una persona che agli occhi di un’altra persona può diventare straordinaria. Il poeta scrive perché ha voglia di scrivere, di trasformare in parole i propri sentimenti, ha l’urgenza di tirare fuori queste emozioni e consegnarle ad altri. Parole semplici per sentimenti straordinari, parole a volte “normali” per emozioni che ognuno di noi tiene sopite e che racchiudono una bellezza che solo occhi limpidi riescono a vedere sempre.
Marco e Giuseppe non si conoscono, si cercano, si trovano e si riconoscono diversi senza alcuna paura di esserlo. Perché non essere uguali significa essere unici.

In occasione della presentazione dello spettacolo “Un poeta normale”, prodotto da ‘Culture Possibili’, in scena al Teatro Brancati il 16 aprile alle ore 21:00, incontriamo Bianca Caccamese, Presidente dell’Associazione Culture Possibili, e Andrea Lapi, regista dello spettacolo.

 

Bianca, cos’è Culture Possibili e cosa ti ha spinto a credere e a realizzare questo progetto?


– Coltivo la passione per il teatro da tanti anni, in diversi modi, e un giorno ho deciso di volerlo produrre. Ho fondato Culture Possibili con la precisa intenzione di fare Teatro d’innovazione e portare innovazione a teatro.

Cosa desideri possa diventare Culture Possibili per una città come Catania e perché?

– Nel corso di questo primo anno di attività ho avuto il piacere di ritrovare, ma anche di conoscere tanti amici attori, registi, scrittori, musicisti e operatori culturali, i quali hanno sposato artisticamente, oltre che personalmente, gli obiettivi e i progetti di CP e con i quali stiamo pian piano costruendo percorsi comuni. Molti di loro non sono di Catania. Ritengo perciò che ciò potrà consentire la circuitazione di spettacoli e artisti tra Catania e le città nelle quali questi percorsi saranno avviati.  Attualmente ce n’è uno importante che sta prendendo corpo a Palermo. Questi progetti potranno far diventare CP un luogo d’incontro tra artisti che desiderano innovarsi ed innovare, avendo come punto di riferimento per la circuitazione artistica proprio la città di Catania. Ma perché queste condizioni possano verificarsi nel nostro territorio sarebbe auspicabile che le Istituzioni condividano i nostri intenti progettuali per poterli conseguentemente sostenere.

Una definizione possibile per ‘cultura della diversità’
– Non mi piace parlare di “cultura della diversità”. Preferisco piuttosto si parli di “diversa cultura”, di culture possibili intese come opportunità di misurarsi con un punto di vista nuovo, a volte sorprendente, sul mondo e le persone speciali che lo vivono.  Attuare culture possibili vuol dire mettersi in gioco, in prima persona. Come ha fatto Andrea Lapi accettando la mia proposta, che è quasi una sfida, sulla realizzazione di un lavoro come Un poeta normale.

Andrea, come nasce la collaborazione tra te e Bianca Caccamese?

– Ho conosciuto Bianca nel 2010 durante le prove di uno spettacolo con attori disabili, lei si occupava dell’aspetto amministrativo, io vi partecipavo come attore. Era la mia prima esperienza con artisti disabili prima de Un poeta normale. L’estate scorsa, a distanza di anni da quell’occasione, Bianca mi ha ricontattato per propormi di collaborare con lei al secondo spettacolo di Culture possibili.
L’idea era quella di creare uno spettacolo che parlasse di diversità.
Inizialmente Bianca mi propose di recitare nel progetto insieme a Giuseppe e di curarne al tempo stesso la regia.
Questo lavoro è arrivato in un momento per me di cambiamento ,di vuoto e di dubbio. Penso che il rischio più grande per chi ama confrontarsi attraverso il teatro sia quello di perdere le necessità. La necessità di cercare verità e bellezza. La voglia di essere curiosi e investigare sul perché essere curiosi. In una sola parola “stimolare” se stessi e gli altri. Credo sia questa la funzione del teatro. Un poeta normale mi ha messo davanti ad un vuoto che ho voluto riempire, o meglio, ho provato a farlo. “Diversità” rappresenta un universo troppo grande e con questo progetto ho accettato di compiere un primo passo dentro di esso.

Come il tuo percorso di ricerca umana e professionale può incontrare quello di Culture Possibili?

– Più vado avanti e più mi rendo conto di quanto la mia formazione culturale si porti dietro retaggi borghesi e perbenisti che da soli potrebbero intossicare i pubblici di tutto il mondo. Occorre un costante e umile confronto prima di affrontare il palcoscenico pensando di poter “insegnare” qualcosa a qualcuno. Il teatro è una funzione attraverso la quale i primi a mettersi a nudo dovrebbero essere le stesse persone che la praticano.
Dal punto di vista della ricerca teatrale Culture Possibili mi ha offerto la possibilità di compiere il mio viaggio dalla forma ai contenuti, mi ha permesso di guardare in faccia le mie paure e i miei giudizi; credo che Un poeta normale sia una finestra sulle nostre coscienze. I miei strumenti di formazione sono orientati alla ricerca del “contrasto”, in tutte le sue forme. Il mondo è pieno di contrasti e quello che attraverso il teatro cerco di fare è studiare il limite estremo di questi contrasti, l’equilibrio indispensabile che in natura dà vita a tutte le cose. Le diversità sono la ricchezza più grande da portare in palcoscenico e la missione è proprio questa: esaltare la bellezza delle diversità ed estirpare paura, carità e pregiudizio dagli occhi di chi guarda.

Parlaci del tuo lavoro con i due attori de Un poeta normale. Perché proprio loro?

– Il lavoro è partito dai racconti di vita di Giuseppe, i campeggi estivi, i falò sulla spiaggia, gli amori segreti e mille altre avventure che lo hanno portato fino a noi, anche quelle meno belle da raccontare.
Giuseppe porta sempre con sé i ricordi che lo fanno stare bene, potrebbe emozionarsi cento volte nello stesso giorno raccontando sempre lo stesso episodio. L’intero spettacolo è costruito sui ricordi di Giuseppe rielaborati e agiti sotto forma di immagini. Un’altra parte importante del lavoro riguarda la sua passione per la scrittura. La necessità di Giuseppe di scrivere poesie è stata il motore di molte improvvisazioni, soprattutto nella fase iniziale del lavoro.
Giuseppe è un bambino con quarant’anni di esperienza, e posso dire oggi con certezza di avere scelto per lui un degno compagno di giochi. Ho conosciuto Marco l’anno scorso durante uno dei miei laboratori, e quando Bianca pochi mesi fa cominciò a parlarmi del progetto tutto mi fece pensare a lui come la persona giusta. Marco è un attore dotato di un’intelligenza fisica spaventosa, disabile in tutto ciò che non scalda il suo corpo; ha una grande disponibilità al gioco e un buon intuito per mettere a fuoco costantemente i contrasti che regolano le leggi dell’energie in scena. Il grado di empatia e di complicità che Marco e Giuseppe hanno saputo coltivarsi mi rende estremamente felice.
Un poeta normale non si pone l’obiettivo di distillare concetti sulla “diversità”; né sulla sindrome di down. Non erano queste le nostre intenzioni. Noi portiamo in scena le passioni, i sentimenti e le paure di un cittadino del mondo, una persona che agli occhi di molti è ritenuta diversa, anche se ciò che scalda il suo cuore e fa tremare le sue gambe non ha nulla diverso da tutto il resto del mondo.