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Pma nei Lea, Salutequità “Stop disomogeneità regionali e liste d’attesa”

ROMA (ITALPRESS) – Non basta l’incertezza economica e lavorativa a rendere l’Italia il paese con il più basso tasso di natalità in Europa: un ruolo non indifferente è legato all’infertilità che l’Organizzazione mondiale della Sanità definisce “una patologia del sistema riproduttivo maschile o femminile definita dal mancato raggiungimento di una gravidanza dopo 12 mesi o più di rapporti sessuali regolari non protetti” e che in Italia, secondo ISS, riguarderebbe il 15% delle coppie.La buona notizia in questo senso è che l’Italia, stando al Progress report OMS “Action Plan for Sexual and Reproductive Health”, è tra il 72% di Stati membri dell’Ue che nel 2022 ha politiche o linee guida nazionali sull’infertilità negli uomini e nelle donne. Ma la cattiva notizia è che non fa parte di quel numero di Stati, meno di uno su 3 (31% ovvero solo 12 Stati membri), che offre il supporto finanziario per gli alti costi della fecondazione assistita a tutte le donne che ne hanno bisogno.Le cose però potrebbero cambiare perchè nel ventesimo compleanno della legge 40/2004, la Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), entrata nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) nel 2017, potrà contare sulla definizione di tariffe e dal 2024 dovrebbe essere accessibile alle coppie che ne hanno bisogno.Ma per raggiungere questo traguardo ci sono nodi da risolvere e Salutequità li ha analizzati attraverso il suo Osservatorio dedicando un focus proprio alla PMA.“Dal primo gennaio entrano in vigore i nuovi LEA grazie al decreto tariffe e il SSN garantisce l’accesso alle prestazioni necessarie alle coppie per curare l’infertilità, ricomprendendo fecondazione assistita omologa e eterologa – ha detto Tonino Aceti, presidente di Salutequità -. E’ verosimile che aumenterà appropriatamente la domanda, finora frenata, in particolare al sud del Paese, da difficoltà prevalentemente economiche. Un appuntamento al quale il SSN non può farsi trovare impreparato. Per partire col piede giusto è necessario agire sulle note disomogeneità in termini di offerta del SSN attualmente presenti; lavorare sull’appropriatezza dei percorsi di prevenzione, diagnosi e cura dell’infertilità; misurare le liste d’attesa per gestirle, governarle e offrire trasparenza alle coppie. In caso contrario le coppie non avranno più necessità di chiedere l’autorizzazione alla ASL di appartenenza e potranno recarsi in centri fuori regione, ma rischiamo ancora una volta di lasciare indietro quelle che non possono permetterselò.La Relazione al Parlamento di novembre mostra una ripresa tra il 2020 e il 2021 delle attività di PMA dopo il calo causato dal covid-19, che si è tradotta nell’aumento numero di cicli erogati, nell’incremento in termini assoluti del numero di bambini nati vivi grazie a tecniche di PMA e nella loro incidenza rispetto al totale delle nascite (4,15% nel 2021, 2,79% nel 2020 e 3,37% nel 2019). Nel 2021 sono state trattate 86.090 coppie (di cui 75.856 con tecniche di secondo e terzo livello), per un totale di 108.067 cicli iniziati (+27.968 cicli rispetto al 2020) di cui 46.903 nel privato (35.459 nei centri pubblici, 25.705 nei privati convenzionati); e di 21.695 gravidanze (+7.233 rispetto al 2020). I bambini nati grazie alla PMA nel 2021 sono stati 5320 in più rispetto al 2020, per un totale di 16.625: 15.330 sono nati da procedure di secondo e terzo livello (la fecondazione avviene in vitro, cioè all’esterno dell’apparato riproduttivo femminile); poco meno di un terzo, 5.021, con gameti donati.I problemi di iniquità sul territorio nazionale sono ribaditi anche dalla recente Relazione al Parlamento, che con le stesse parole di quella dello scorso anno, sottolinea che “Rimane la diversa distribuzione dei centri pubblici e privati convenzionati, più presenti nel Nord del Paese… Inoltre, un consistente numero di centri PMA di II e III Livello presenti sul territorio nazionale svolge un numero ridotto di procedure nell’arco dell’anno…Sarebbe auspicabile che i centri PMA fossero in grado di svolgere volumi di attività congrui in modo da garantire qualità, sicurezza e appropriatezza delle procedure nelle tecniche di PMA e che fossero equamente distribuiti su tutto il territorio nazionale per offrire il miglior livello di prestazione possibile…’. Ad erogare gli oltre 108mila cicli di PMA nel 2021 sono stati i 340 centri attivi in Italia: 221 privati, 100 pubblici e 19 privati convenzionati. La metà dei centri italiani (50,3%) è concentrata in 4 regioni: Lombardia (55 centri pari al 16,2% del totale); Campania (45 centri pari al 13,2%), Veneto (36 centri ovvero il 10,6%) e Lazio (35 centri pari all’10,3%). E, come emerge dalla relazione al parlamento, “la presenza di centri pubblici è maggiore in alcune regioni del Nord (Lombardia, Liguria, Friuli Venezia Giulia) e del Centro (Marche); i centri privati sono in numero maggiore in quasi tutte le regioni del Sud e solo in alcune del Nord (Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna) e del Centro (Lazio); i 17 centri privati convenzionati sono quasi esclusivamente presenti in Lombardia (9) ed in Toscana (5)”.Il numero di cicli effettuati su pazienti per milione di abitanti nell’anno 2021, sono un altro parametro importante per capire l’offerta regionale. Secondo la stima della società scientifica europea di riferimento, ESHRE, il fabbisogno di cicli è stimabile in almeno 1500 cicli per milione di abitanti. Stando a questo parametro, guardano la media Italia 2021, l’offerta risulterebbe adeguata perchè pari a 1529 cicli per milione di abitanti (standard di adeguatezza >1.500). Tuttavia, trattandosi di media nazionale le variabilità territoriali non mancano. Le Regioni che non raggiungono lo standard sono 14. Sono al di sotto dei mille cicli molte regioni del sud/isole (Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna, Liguria); fanno registrare i valori più bassi Marche (180), Molise (355), Sardegna (543).Superano i 1000 cicli, ma non raggiungono i 1500: Veneto (1113), Piemonte (1198), Friuli Venezia Giulia (1155) e PA Trento (1398). Oltre lo standard (1500 per milione di abitanti), Valle d’Aosta (4429), PA Bolzano (3380), Toscana (2961), Lombardia (2221), Lazio (2139), Campania (1559).Anche i centri di PMA sono diversi tra loro in termini di volumi: solo 18 hanno svolto almeno 1.000 cicli e sono in Lombardia (5), Toscana e Lazio (3), Piemonte, Emilia Romagna e Campania (2), in Sicilia (1).Quelli più piccoli sono 61, erogano tra i 100 ed i 200 cicli, e si trovano soprattutto in Campania (12), Lazio (9), Veneto e Sicilia (8). Guardando all’offerta dei centri del SSN, il 42,3% di quelli pubblici ha dimensioni medie ed eroga fra i 200 ed i 500 cicli. L’82,4% dei centri privati convenzionati ha eseguito almeno 500 cicli, con il 41,2% che ne ha fatti più di 1.000.Oltre un ciclo su 6 (62,1%) di tutti i cicli iniziati di fecondazione omologa di II e III livello è a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN): circa uno su tre (33,9%) nei centri pubblici e oltre uno su quattro (28,2%) nei privati convenzionati. Situazione capovolta per i cicli di fecondazione eterologa, per i quali circa i due terzi (72,6%) si svolge nei centri privati.E nella PMA un altro fenomeno è quello della mobilità transfrontaliera. Le motivazioni che spingono i pazienti a rivolgersi all’estero sono varie e complesse, ma per semplificare la letteratura li riconduce a 4 categorie di motivazioni: accesso; costi; regolazione normativa; privacy. In queste motivazioni c’è anche la volontà di evitare i lunghi tempi di attesa, una realtà nei Paesi in cui le cure dell’infertilità sono incluse nel SSN. Secondo dati SIRU, Società italiana Riproduzione Umana, oltre 13mila coppie italiane si sono spostate per poter diventare genitori e si sono rivolti a strutture in Spagna, Grecia, Repubblica Ceca, Danimarca e Belgio. In particolare, a migrare sono le coppie interessate alla fecondazione eterologa, cioè la tecnica di PMA che utilizza gameti, ovuli o spermatozoi, prelevati da donatore esterno alla coppia.E’ verosimile ipotizzare che a fronte dell’inserimento nei LEA della PMA, la domanda sia destinata mente ad aumentare, ma, dati alla mano, sembra difficile, in assenza di azioni concrete, farci trovare pronti dal 1° gennaio a dare risposte adeguate in termini quantitativi e a garantire equità di accesso alle coppie.L’aumento di domanda appropriata da parte delle coppie prevedibile, se non accompagnato da un adeguamento della risposta nei diversi territori regionali, potrebbe portare a barriere nell’accesso dovute ad un aumento delle liste d’attesa e/o della mobilità, con disparità legate a residenza, fattori socioeconomici, etc. E’ importante sottolineare che l’adeguamento dell’offerta non si basa sulla sola numerosità dei centri, ma anche sul dimensionamento del personale e sull’adeguamento delle dotazioni strumentali.E’ indispensabile agire anche sull’appropriatezza e sulla definizione di percorsi di tutela della salute riproduttiva e di presa in carico dell’infertilità. A partire dalle linee guida è importante definire i percorsi di prevenzione, diagnosi e cura coinvolgendo tutti i professionisti e i servizi a vario titolo coinvolti.L’incertezza del costo per la fecondazione eterologa, che varierà tra le Regioni anche in forza degli accordi regionali per l’importazione dei gameti, potrebbe continuare a spingere le coppie alla mobilità nazionale, verso le regioni che chiederanno un contributo inferiore. Il Ministero della salute ha stimato un costo fino a 1500 euro.Prevedere il monitoraggio dei tempi di attesa e renderli pubblici e consultabili da parte delle coppie, mutuando anche da positive esperienze regionali in atto.

– foto ufficio stampa Salutequità –

Redazione

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