Più liquidità ma diminuisce la quota degli italiani che risparmiano
MILANO (ITALPRESS) – Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi hanno presentato la ricerca sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2021, l’indagine che analizza il rapporto degli italiani con il risparmio e l’influenza che la pandemia sta avendo sulle scelte di investimento delle famiglie. Alla presentazione hanno partecipato Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo, Beppe Facchetti e Giuseppe Russo, Presidente e Direttore del Centro Einaudi.
Secondo le interviste sull’andamento dell’anno 2020, raccolte a marzo e maggio 2021 e rivolte ai responsabili delle scelte finanziarie, il 9 per cento delle famiglie italiane ha subito conseguenze sulla salute propria o di un membro della famiglia: in una casa su dieci il Covid è entrato davvero. Molto più ampio è il numero di famiglie che ha visto ridursi o azzerarsi le entrate ordinarie a causa delle conseguenze economiche del Covid: nel complesso, si tratta del 36,8 per cento degli intervistati. Tra questi, il 19,6 per cento dichiara che le entrate sono «un poco» diminuite, il 15,7 per cento che sono «molto» diminuite e l’1,5 per cento dichiara che tutte le entrate sono state perdute. Queste percentuali mostrano che la perdita media di reddito netto familiare, pari a 105 euro mensili, non ha riguardato tutti: si è avuta una forte concentrazione dell’impatto economico, che si è scaricato su poco più di una famiglia su tre.
Lo sforzo della politica economica italiana ha consentito di mitigare gli effetti economici negativi del Covid sulle famiglie. A livello aggregato, risulta infatti che al -8,9 per cento del PIL ha corrisposto un calo decisamente inferiore del reddito disponibile.
Le risposte ai due questionari permettono di individuare quanti hanno ricevuto aiuti a livello microeconomico.
In media, i sussidi o altre forme di supporto economico hanno raggiunto il 28 per cento del campione, quindi nominalmente hanno servito il 74 per cento di coloro che hanno perduto entrate, con quote che salgono inevitabilmente in alcune categorie, come gli esercenti (che hanno ricevuto aiuti nel 53 per cento dei casi), gli operai (48 per cento) e i giovani (44 per cento). Gli aiuti sono stati giudicati sufficienti ma giunti in ritardo dai lavoratori dipendenti manuali, sono stati piuttosto tempestivi ma insufficienti secondo i lavoratori autonomi e gli esercenti, mentre hanno abbastanza soddisfatto la categoria degli impiegati.
Di fronte a un’emergenza, le famiglie italiane erano preparate? Nonostante l’ampio serbatoio di risparmio privato, la risposta è che non tutte, in realtà, lo erano. Infatti, è risultato che il 53 per cento di esse non aveva accantonato un fondo di riserva, ossia non aveva depositi liquidi sufficienti o strumenti finanziari monetari liquidabili immediatamente per far fronte ad una emergenza economica come quella che abbiamo vissuto.
La pandemia, pur non avendo scosso in misura forte il tenore di vita (nonostante 400 mila famiglie abbiano perso tutte le entrate, circa l’1,5% del campione), è intervenuta anche sui comportamenti di risparmio, evidenziando due macro-cambiamenti: a) la diminuzione, dal 55,1 per cento al 48,6 per cento, ossia di ben 6,5 punti percentuali, della quota di risparmiatori nel campione, per effetto delle ridotte disponibilità. I non risparmiatori sono tornati prevalenti sui risparmiatori; b) la crescita tra i risparmiatori residui, pari a ben 6,7 punti percentuali, del numero di coloro che hanno intrapreso il risparmio in modo involontario, essenzialmente per non essere riusciti a consumare nell’anno della pandemia a causa delle restrizioni di attività e mobilità.
Gli investimenti finanziari nell’anno del Covid-19 sono stati ridotti e messi in larga parte in standby proprio dall’incertezza pandemica, ma anche dalla difficoltà oggettiva di incontrare sul mercato investimenti corrispondenti agli obiettivi dei risparmiatori, che nel 2021 privilegiano nel lungo periodo, la sicurezza (ossia il desiderio di non perdere il capitale investito) e nel breve periodo la liquidità.
Per questa ragione, anche se non sono più afflitte dalla crisi di fiducia che avevano avuto nel 2011-2012, le obbligazioni ricevono un consenso limitato. Sono possedute dal 22 per cento del campione, contro un massimo storico del 29 per cento; un obbligazionista su tre ha operato su questi titoli, nel 2021, facendo investimenti netti. Sono 3,8 gli obbligazionisti soddisfatti per ogni insoddisfatto.
Le azioni sono invece considerate per quello che sono realmente, ossia titoli per esperti, dunque appannaggio di una minoranza pari al 6,1 per cento del campione. Metà di essi ha effettuato acquisti netti nell’ultimo anno. Sono 5 gli investitori in azioni soddisfatti per ogni insoddisfatto.